Senatrice Garavaglia, nel suo ruolo di ministro ombra all’Istruzione dovrà certamente affrontare il tema della parità scolastica. Innanzitutto le chiedo: qual è secondo lei il valore aggiunto che la scuola non statale può dare al sistema educativo nazionale?
Per rispondere parto dall’esperienza dell’accreditamento delle strutture sanitarie private: anche la sanità è integrata in un sistema che prevede la presenza di strutture private le quali, dal punto di vista dell’efficacia dei risultati e della missione, svolgono un servizio pubblico. Per la scuola è lo stesso: la scuola è pubblica quando corrisponde a criteri in base ai quali risulta essere uno dei servizi tutelati dalla Costituzione. È il servizio per lo sviluppo morale, civile e anche economico del Paese, e perciò lo Stato ha il compito di garantirne la qualità, affinché coloro che escono dalle scuole di ogni ordine e grado siano paragonabili ai pari europei e internazionali. Gli strumenti possono essere neutri, per raggiungere la stessa finalità: può essere la scuola pubblica statale e può essere la scuola pubblica di origine privata.
Eppure quando si parla di parità scolastica anche da un punto di vista economico, si alzano forti critiche, e soprattutto si cita il famoso passaggio della Costituzione, «senza oneri per lo Stato».
«Senza oneri per lo Stato» significa che non c’é il pagamento degli edifici, di insegnanti e personale. Ma lo Stato deve garantire gli standard, come ad esempio il curriculum degli insegnanti: chiunque voglia insegnare deve avere un curriculum di studi e una qualifica professionale e didattica che confermi che quella persona è un insegnante e non altro. Uno dei problemi che talvolta si verificano nelle scuole è di avere persone che non sono qualificate. Poi, dal punto di vista dei contenuti, il pluralismo non viene inficiato se esiste una base comune di materie che garantiscono l’unità della nazione in termini culturali. Questo vale per la lingua italiana, la storia, la geografia, l’educazione civica: deve esserci uno zoccolo di materie che rendono la scuola di rilievo nazionale. Poi, siccome esiste l’autonomia, bisogna affermare il principio che oltre all’autonomia della scuola di Stato, c’é anche la autonomia della scuola pubblica non di Stato, originata da genitori, da istituzioni, da privati, e che corrispondano ai criteri prima enunciati.
Ci sono secondo lei le condizioni politiche per fare delle scelte coraggiose in campo scolastico sul tema parità, considerando le opposizioni che sicuramente da più parti si leverebbero?
Nella scuola, se fosse un po’ meno “ideologizzata”, ci vorrebbe un lavoro finalizzato a garantire la più ampia partecipazione plurale dei soggetti che hanno diritto ad educare, come la famiglia. È la famiglia che sceglie; quindi io ritengo che si debba affrontare seriamente questo discorso, e mi pare che il clima instaurato in questa legislatura sia favorevole in questo senso. Se la volontà politica è coincidente, poi troveremo il modo per far sì che un ragazzo, che studi in una scuola pubblica statale o non statale, abbia lo stesso peso economico. Secondo me ci sono le condizioni per questo confronto, così da fare una cosa che in cinquant’anni non era mai stata fatta. In termini politici, economici e sociologici abbiamo veramente tutti gli elementi per poterne discutere.
Favorire la libertà di scelta non sarebbe anche un incentivo all’incremento della qualità del nostro sistema?
Le indagini Ocse, come sappiamo, fanno rilevare che l’Italia è in condizioni tremende; dobbiamo quindi lanciare una grande offensiva sulla qualità della scuola. Esiste purtroppo un privato che ha rovinato il settore. Abbiamo avuto un privato fatto di “diplomifici”, che non ha insegnato a studiare, che non ha identificato le scelte morali filosofiche, religiose delle famiglie. E’ stato un privato deleterio, e adesso qualsiasi lavoro per far sì che questo nostro sforzo vada in porto è di evitare che ciò che non è statale rischi di entrare in quelle gore che hanno fatto fare brutta figura a tutte le istituzioni privatistiche che invece erano di grande eccellenza.
Per favorire il miglioramento qualitativo delle scuole ci sono diverse proposte: la più significativa è quella della trasformazione delle scuole in Fondazioni. Cosa ne pensa?
In realtà, quando noi cerchiamo queste soluzioni, come le scuole-fondazioni, a cosa miriamo? In qualche maniera giudichiamo negativamente i comportamenti fin qui attuati; però lo Stato, le regioni, le province, i comuni, la famiglia, gli organi direttivi della scuola hanno tanti strumenti per raddrizzare le storture. Nulla osta che diventino fondazioni; ma se rimane un reticolato unitario nazionale, con regole ben precise, col merito effettivamente valutato, sia quello degli insegnanti che quello degli studenti, forse non dovremmo rincorrere ad altre situazioni istituzionali, ad altri statuti. Il politico deve lanciare un’idea, buttare il cuore al di là dell’ostacolo, però intanto che lancia una nuova idea deve anche proporsi di studiare quali sono le conseguenze ulteriori. Qualcosa che sembra novità oggi, fra cinque anni può essere superata. Non dobbiamo scordare che la scuola prevede scelte di lungo termine. La scuola va lasciata tranquilla. La maggioranza e l’opposizione devono dare la sensazione a famiglie, insegnanti e studenti che la scuola viene protetta, tutelata, perché se all’inizio o alla fine di ogni anno scolastico lumeggiamo novità, si dà la sensazione di non saper dove andiamo, che non consideriamo la scuola il primum di ogni Paese. Il rischio è che poi famiglie e insegnanti vengano frustrati, perché non sono in grado di sapere se porteranno a termine ciò che hanno iniziato.