Mi scusino i signori della Commissione ministeriale che hanno preparato questo compito, ma a me più che una traccia sembra un depistaggio. Escluso che io debba parlare di «innamoramento e amore» nella mia situazione personale (al presente abbastanza complicata e certo non interessante per gli esaminatori), avendo come «consegna» quella di scrivere un «articolo di giornale» su un argomento grande come una montagna e dovendolo analizzare nell’«ambito artistico-letterario», mi spieghino lorsignori come posso fare con i «documenti» che mi sono offerti!
Si parte con un brano del saggio che ha reso celebre Francesco Alberoni: la frase scelta è di quelle che non sai mai se è profondissima o acqua calda; sì, paroloni – tormento, estasi, inferno e paradiso-, ma alla fin fine non si capisce bene dove voglia andare a parare.
Poi si fa un salto indietro di due millenni e mi imbatto nel catulliano «Odi et amo»; beh, sarebbe bastato questo come traccia dell’articolo, tanto è abissalmente profondo. E vero.
Poi Dante, ovviamente Paolo e Francesca. Ma lo sanno gli esimi Commissari che su questi versi si sono scritte intere biblioteche: il dolce Stil novo, il rifiuto della sua logica da parte del Dante della Commedia, la tragica fine dei due amanti… Chissà poi perché non ci propongono mai di commentare i canti del Purgatorio dove Dante definisce natura e dinamica dell’amore.
Altro salto, questa volta in avanti, per incontrare Gozzano e la sua signorina Felicita: qui siamo nel pieno del bon ton borghese-piemontese, coi suoi versicoli – e corrispettivi sentimenti – un po’ sciatti, da bar in piazza San Carlo.
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Meno male che Leopardi rimette le cose a posto: «Fratelli, a un tempo stesso Amore e Morte / ingenerò la sorte». Qui il discorso si fa pesante, perché il recanatese ritiene che tra le cose più belle della vita non ci sia solo l’amore – fin qui siamo tutti d’accordo -, ma anche la morte. E come la mettiamo, visto che la morte cancellerebbe anche l’amore?
Dulcis in fundo Cardarelli ci parla della sua separazione dalla sposa; forse i Commissari mI chiedono di dar conto del fenomeno sociologico dell’aumento dei divorzi e, magari, della legislazione sulle coppie di fatto?
Ah no, non eravamo ancora in fundo. Ci sono i documenti artistici. Almeno qui il lasso temporale è più contenuto. Anche se Amore e Psiche di Canova fa il verso alla statuaria greco romana, si tratta pur sempre di produzione di fine Settecento. Novecenteschi gli altri due dipinti proposti. Ma quanto diversi! Il bacio sotto l’asciugamano – suppongo piuttosto scomodo e poco gratificante – di Magritte catapulta in una dimensione da incubo, in uno spazio di assoluta incomunicabilità. D’altra parte la Passeggiata degli amanti di Chagall proietta in un’aura di sogno, uno di quei bei sogni in cui puoi benissimo trovarti mano nella mano con la fidanzata che vola nel cielo sopra le case.
Mi accorgo adesso che, solo facendo l’elenco degli spunti proposti, ho esaurito lo spazio a mia disposizione.
Ma forse anche questo insegna qualcosa: che l’amore è, in fondo, indefinibile. Ci han provato poeti e narratori pittori e scultori; e hanno detto anche molte cose interessanti, ma non risolutive. Ci han provato anche i teologi, che lo hanno identificato addirittura con Dio. Ma al di là di questi balbettii conta quanto scrisse un monaco medievale: «Nec lingua valet dicere, nec littera exprimere; expertus potest credere».