Sulla crisi economico-finanziaria ha deciso di sospendere per un po’ il giudizio – i maligni direbbero che lo ha fatto per senso del pudore –; ma sull’università non vuole proprio cedere. E forse è anche il caso di dire che in questo secondo campo sembra destreggiarsi un po’ meglio.
Francesco Giavazzi, autorevolissimo editorialista del Corriere, sta battendo sempre più forte sul tasto della riforma universitaria. Dopo aver avuto una certa parte di merito, che è giusto riconoscergli, riguardo all’approvazione del decreto 180/2008, poi legge 1/2009, da lui fortemente voluta soprattutto per la parte relativa alle correzioni sui concorsi già banditi, ora l’economista ritorna con martellante regolarità a invocare un piano più ambizioso di riforma generale del sistema universitario italiano. O, meglio, a invocare che quel progetto, già scritto ma lasciato languire nel cassetto del ministro Gelmini, possa essere approvato, dopo aver passato, possibilmente indenne, le forche caudine del terribile Tremonti.
L’accoppiata Gelmini-Giavazzi potrebbe in effetti portare a casa un buon risultato. Lo schema sembrerebbe questo: la ministra ha dato lustro all’economista, dato che ha lasciato chiaramente trasparire chi fosse il vero ispiratore di una legge applaudita da tutti come primo e salutare correttivo ai tagli indiscriminati della legge 133/2008; ora l’economista deve tener bordone alla lotta della ministra contro il braccino corto dell’Economia, per far approvare una riforma che è stata tanto promessa da non poter più essere rimandata. Lasciare il percorso a metà non si può, e vanificherebbe anche quel poco che è stato fatto finora; la conclusione del percorso, invece, darebbe un’immagine fortissima al ministro Gelmini, che chiuderebbe così il cerchio “maestro prevalente-riordino delle superiori-riforma universitaria”. Un piano politico niente male, e tanto di cappello se lo si porta a termine.
Ma lasciando da parte le valutazioni politico-strategiche, vale la pena spendere qualche parola in merito alle proposte Giavazzi.
La linea principale del Giavazzi-pensiero, pienamente condivisa dalla Gelmini, ruota intorno all’idea di autonomia: nuova governance degli atenei, con Cda autonomo rispetto al Senato accademico, e non guidato dal rettore. Proposta tanto giusta, quanto naturalmente avversata da chi non vuole perdere il controllo sugli atenei. Ed è per questo che nasce il lecito sospetto che non sia soltanto il ministro dell’Economia a tenere chiuso il cassetto della Gelmini, ma anche una buona parte dei rettori.
L’altra idea coraggiosa, su cui l’economista è tornato con particolare forza nell’editoriale di ieri, è quella relativa alle tasse universitarie: proporne l’innalzamento è decisione politica assai difficile. Giavazzi non è certo l’unico a sostenerne l’opportunità: da tempo anche un altro autorevole editorialista del Corriere come Angelo Panebianco insiste su questo punto. E d’altronde il riferimento politico non manca: Tony Blair ha varato (affrontando coraggiosamente pesanti contrarietà anche all’interno del suo partito) un’importante riforma in questa direzione, aumentando le tasse universitarie e compensando il provvedimento con il sostegno al diritto allo studio tramite borse e altre soluzioni, come ad esempio il prestito d’onore. La strada è sicuramente giusta, e più che auspicabile; inoltre è anche culturalmente in linea con l’impostazione “anti-sessantottina” dell’attuale ministro. Francamente non saprei dire se il discorso sulle tasse sia condiviso dai due, o appartenga solo ai desiderata di Giavazzi (che forse deve pur lasciarsi un margine di critica a riforma, eventualmente, approvata).
A prescindere dal fatto che Gelmini voglia o meno fare un passo del genere sulle tasse, è comunque assodato che una riforma dovrà essere fatta: in un modo o nell’altro, quel programma deve uscire dal cassetto. Ne ha bisogno il sistema universitario italiano, troppo ingessato e arretrato; e forse ne ha bisogno anche il ministro, che potrebbe voler chiudere la partita in tempi utili.
(Rossano Salini)