Quando esce l’annuale rapporto dell’OCSE, il materiale per una diagnosi sullo stato di salute della scuola italiana rispetto agli altri paesi europei o al totale dei paesi dell’OCSE è veramente moltissimo (il rapporto dello scorso anno comprendeva 519 pagine articolate in quattro capitoli e ventotto indicatori), e richiede una disanima accurata per evitare semplificazioni ad effetto. Mi limito quindi a commentare pochi indicatori su cui mi pare che valga la pena di riflettere.
La spesa per l’istruzione – L’Italia conferma la tendenza degli scorsi anni: l’investimento in istruzione si concentra sulla scuola primaria e secondaria, e sottodimensiona i costi dell’istruzione universitaria. La spesa pro capite dell’Italia per la scuola (8.263 dollari equivalenti) è superiore sia alla media OCSE, 7.840, che a quella dell’Unione Europea a 19, 7.682 (i dati sono riferiti al 2006). Per l’università, invece, l’Italia spende 8.725 dollari contro, rispettivamente, 12.336 e 11.520. Per usare uno slogan, potremmo dire che si è scelto di investire in equità piuttosto che in eccellenza, ma resta da vedere quali siano i costi di questa scelta in termini di competitività e sviluppo.
nazione | preprimaria | primaria | Sec.inferiore | Sec.superiore | Università |
Italia | 7083 | 7716 | 8527 | 8474 | 8725 |
Media OCSE | 5260 | 6437 | 7544 | 8486 | 12336 |
U.E. a 19 | 5343 | 6479 | 7967 | 8344 | 11520 |
Il dato percentuale della spesa per l’istruzione sul Pil risente di questa dinamica: è esattamente pari al valore OCSE ed europeo (3,4%) per la scuola, mentre scende a 0,9% rispetto a 1,5% dell’OCSE e a 1,3% dell’Ue. Qui emerge un’ulteriore anomalia, il ridotto peso dei finanziamenti alle scuole non statali (0,1 contro 0,3 e 0,2) per primaria, secondaria e post secondaria, peso che però cresce molto nell’università, dove sul totale incide in Italia dello 0,2, nell’OCSE dello 0,5 e in Europa dello 0,3.
La retribuzione degli insegnanti – L’andamento della voce particolare che riguarda la retribuzione degli insegnanti negli ultimi dieci anni è noto solo per un numero limitato di paesi, e il confronto mostra un miglioramento, ma del tutto uniforme: il salario base è passato da 100 a 109 per tutti i tipi di scuola, il salario dopo 15 anni di servizio è salito a 110 nella scuola primaria, 109 nella secondaria di primo grado e 108 nella secondaria di secondo grado, e la differenza fra salario minimo e massimo è passata anch’essa da 100 a 110. In Inghilterra, il salario base è passato da 100 a 123, quello dopo 15 anni è salito a 108 e la differenza è passata anch’essa a 108. Non vi è dunque nessun tentativo di introdurre delle differenziazioni. La dimensione media delle classi resta al di sotto dei valori medi: 18,4 studenti nella scuola statale, contro 21,4 dell’OCSE e 20,2 dell’Ue nella scuola primaria, 20,8 nella secondaria contro 23,4 e 22,1. Fa parte dei paradossi della scuola italiana il fatto che le classi di scuola privata siano un po’ più affollate di quelle della statale, mentre negli altri paesi accade il contrario, il che induce a ripensare alle motivazioni della scelta.
La presenza nel sistema formativo – L’ultima considerazione, almeno per il momento, riguarda l’evoluzione del capitale umano giovanile del nostro paese, come emerge dai tassi rispettivamente di scolarità, occupazione e disoccupazione dei giovani di 15-19 anni, 20-24 e 25-29. Secondo l’obiettivo di Lisbona di portare al diploma entro il 2010 l’80 per cento di ogni classe di età, il primo gruppo ha già ampiamente superato il traguardo: il tasso di scolarizzazione era pari già nel 2007 all’83,5%, valore di pochissimo inferiore alla media OCSE, 84,3, e un po’ più bassa di quella dell’Europa a 19, che ha raggiunto 87,7: il dato positivo è l’accelerazione, in quanto in dieci anni l’Italia ha recuperato 8,1 punti contro 4,7 dell’OCSE e 4,6 dell’Unione Europea. Sono diminuiti sia gli occupati che gli inoccupati, che però restano il 10,2%, il che significa che un ragazzo su dieci nella fascia 15-19 anni sta già cercando attivamente lavoro e non lo trova: i valori in questo caso sono superiori sia all’OCSE (7,2) che all’Europa (5,8), dove chi ha lasciato la scuola è più facilmente occupato che disoccupato, ed è quindi in una condizione di minore rischio di marginalità. Nella fascia fra i 20 e i 24 anni, dove la quasi totalità degli scolarizzati frequenta l’università o un’altra forma di post diploma, i valori dei tre gruppi di riferimento erano dieci anni fa simili tra loro intorno al 35-36 per cento, e tali sono rimasti, crescendo in maniera omogenea fino al 41-42 per cento. Qui la differenze sono fra occupati e inoccupati: in Italia sono cresciuti di poco (da 34,1 a 35,7), mentre nel resto dei paesi sono diminuiti di un paio di punti, restando però nettamente superiori all’Italia (OCSE 44,1, UE 43,2): reciprocamente gli inoccupati, pur diminuiti di quasi otto punti, restano percentualmente superiori sempre di circa otto punti ai valori medi degli altri paesi, forse perché la maggiore lunghezza del percorso e l’introduzione relativamente recente delle lauree triennali vede una forte presenza nell’istruzione legata a fattori strutturali e non alla difficoltà a trovare lavoro. Infine, la classe 25-29, per lo stesso motivo, dovrebbe avere in Italia una percentuale di presenze in formazione superiore agli altri paesi: così era nel 1998 (16,5 contro 12,7) e così è anche nel 2007 (16,1 contro 14 e 13,6). Il dato grave è quello dei non occupati, che in Italia è sceso di poco, da 29,5 a 25,6, mentre altrove è passato da circa 21 a circa 17 per cento.
1998 | 2007 | |||||
education | occupati | inoccupati | education | occupati | inoccupati | |
Italia 15-19 | 75,4 | 9,5 | 15,2 | 83,5 | 6,3 | 10,2 |
20-24 | 35,8 | 34,1 | 30,1 | 41,7 | 35,7 | 22,6 |
25-29 | 16,5 | 54,1 | 29,5 | 16,1 | 58,3 | 25,6 |
Media OCSE | 79,6 | 11,5 | 9,2 | 84,3 | 8,6 | 7,2 |
20-24 | 35,0 | 46,8 | 18,2 | 41,0 | 44,1 | 14,9 |
25-29 | 12,7 | 66,4 | 20,9 | 14,0 | 68,9 | 17,0 |
Media UE a 19 | 83,1 | 8,7 | 8,2 | 87,7 | 6,6 | 5,8 |
20-24 | 36,8 | 44,9 | 18,3 | 42,2 | 43,2 | 14,6 |
25-29 | 12,7 | 66,4 | 20,9 | 13,6 | 69,2 | 17,2 |
Possiamo affermare che nel nostro paese la riqualificazione del capitale umano è in atto in misura abbastanza confortante per quanto riguarda la scolarizzazione, e ci ha portato a raggiungere e talvolta a superare i valori medi degli altri paesi (anche se un confronto più puntuale e meno frettoloso dovrebbe essere fatto con singoli paesi a noi più simili, come la Francia o la Spagna), mentre si riduce ma resta elevata la difficoltà a passare dalla formazione al lavoro.