Emma è una bambina di otto anni, e trascorre l’estate in un piccolo paese calabrese sul mare lontano da casa. Il papà è solito uscire presto al mattino per andare a pescare, mentre lei con la mamma e il fratello più piccolo hanno l’abitudine, prima di andare in spiaggia, di passare dal panettiere per una brioche appena sfornata.
La mamma, che manca completamente del senso dell’orientamento, non ricorda mai la strada da fare, allora è Emma, che ogni mattina per tutto un mese fa lo sforzo di cercare la via di casa, all’inizio con un po’ di fatica, poi sempre più facilmente, finché dopo quindici giorni si diverte a trasformare l’incombenza in un gioco con variazioni sul tema: una volta imboccare una strada, il giorno dopo imboccarne un’altra.
Immaginate che a Emma durante gli ultimi due anni della scuola dell’infanzia avessero fatto fare con criteri e tempi corretti il gioco della galleria (il tunnel costa 15 euro): si sbuca e si può andare avanti, o indietro, a destra o a sinistra. E immaginate, che quando ha dieci anni il papà, che lei ama molto, la porti in montagna per qualche giorno, e insieme vadano a passeggiare nei boschi con una bussola magnetica (il costo è dai 3 euro in su), che Emma imparerà a usare, per muoversi verso nord, verso sud, verso oriente o verso occidente.
Immaginate poi, che Emma al liceo abbia professori culturalmente così equilibrati, da insegnarle su ogni tema a vagliare gli argomenti, che storicamente hanno portato a un pensiero e a una posizione, piuttosto che a un pensiero e a una posizione differenti o addirittura opposti, messi costantemente a confronto; oppure su ogni problema a soppesare i pro e i contro. E infine immaginate, che contemporaneamente a casa sugli avvenimenti più importanti trasmessi dai media, si abbia l’abitudine di discutere, per chiarire le posizioni di sostenitori e avversari delle tesi principali.
A vent’anni Emma sarà pronta a diventare una donna adulta capace di percepire gli avvenimenti con obiettività; di giudicare i problemi in maniera equilibrata; su ogni problema di figurarsi possibili soluzioni alternative; ogni volta che agisce, di vagliare una gamma di alternative possibili, tra cui operare una scelta consapevole e motivata; di modificare i contesti, in cui calare le proprie decisioni; se necessario, di modificare le proprie decisioni; di contemplare che cosa le verrà richiesto in futuro, sulla base delle sue decisioni presenti.
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Sarà una donna capace di anticipare le conseguenze delle sue scelte; di capire le cause delle scelte altrui. Sarà una donna capace di coordinare il proprio punto di vista con quello degli altri, e di negoziare tra posizioni differenti (non pochi problemi disciplinari in classe derivano dall’incapacità di coordinare il proprio punto di vista con quello altrui: “Prof, non sono stato io. Ho aperto la finestra perché avevo caldo, e lui l’ha chiusa perché aveva freddo. Io gli ho detto di mettersi un maglione e ho aperto di nuovo la finestra, ma lui mi ha dato un pugno allo stomaco; allora io gli ho dato uno schiaffo”). Infine Emma sarà capace di costruire una famiglia, nella quale lei stessa farà da perno unitario, consentendo ogni volta di andare oltre le posizioni individuali di ciascuno.
Quante persone conosciamo come Emma? E dire che la capacità di orientarsi in uno spazio prima concreto, poi sempre più astratto, infine interpersonale (con una spesa complessiva attorno ai 20 euro) è solo una delle decine di capacità cognitive che possiamo apprendere insieme a migliaia di contenuti. Ed Emma non è un genio; è semplicemente una persona che cresce, realizzando le potenzialità, di cui ogni persona, in quanto tale, è dotata. L’apprendimento è esattamente questo: realizzare tutte le potenzialità, di cui siamo dotati in quanto persone, e questo può avvenire solo ed esclusivamente all’interno di un rapporto educativo.
Generalmente invece che cosa accade? Ad esempio una bambina può pronunciare la sua prima parola a tre mesi e 14 giorni, perché la madre inizia a parlarle, a cantare per lei e a farle ascoltare la musica sin dal concepimento, e poi alla sua nascita, e così ogni giorno della sua vita nella normalità della vita familiare; perché così fa anche il padre, e così la nonna materna e poi tutti gli altri nonni. Non sono in gioco né obiettivi didattici, né la volontà di produrre un risultato formativo, né un curricolo risultante da un progetto educativo formalizzato. Semplicemente accade, a condizione che tutti i fattori, che rendono possibile questa abilità, siano stati messi in gioco nel momento opportuno. È quindi importante non confondere apprendimento con eccellenza.
Inoltre non abbiamo sempre chiari ordito e trama del tessuto scuola-famiglia. Tre settimane fa la mamma di un bambino di due anni e mezzo mi diceva di voler utilizzare il materiale didattico di un metodo di sviluppo neurobiologico con suo figlio (in Italia è stato pubblicato quello solo inizialmente necessario).
Questa mamma non sa distinguere tra materiale didattico iniziale e materiale didattico completo; non sa distinguere tra materiale didattico e metodo di sviluppo neurobiologico; meno ancora è in grado di contestualizzare un metodo di sviluppo neurobiologico entro un quadro di sviluppo cognitivo complessivo; e tanto meno sarebbe in grado di inserire lo sviluppo cognitivo di suo figlio entro il contesto di sviluppo armonico della persona. E a lei tutto questo non è richiesto.
Qualsiasi genitore può invece portare suo figlio a passeggiare nei boschi usando la bussola, e non è la scuola a doverlo fare al suo posto. Quanto all’apprendimento scuola e famiglia possiedono due competenze e svolgono due ruoli parimenti necessari ma diversi.
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Inoltre solo la famiglia può garantire ai figli l’unicità di relazioni stabili di fiducia e di amore, entro le quali soltanto la persona può crescere e apprendere. Nessun grande maestro o genio educativo avrebbe potuto sostituire il papà di Emma nell’accompagnarla tra i boschi. E d’altro canto solo la scuola può e deve essere consapevole dei livelli e delle dimensioni di sviluppo della capacità emotivo-relazionale, indispensabile per qualsiasi corretta dinamica di apprendimento dentro e fuori la scuola.
Un’ulteriore considerazione è relativa ai diversi contesti scientifici che ci hanno regalato le importantissime acquisizioni sull’apprendimento che noi oggi possiamo utilizzare. Giustamente tali contesti (neurobiologico, neurofisiologico, psicologico, psicologico cognitivo, filosofico della mente, linguistico cognitivo, ecc.) sono diversi e tra loro separati. Non è compito della scienza, ma dell’educatore sì, capire e mostrare come le basi neurobiologiche dell’apprendimento e il loro sviluppo siano necessari e strumentali allo sviluppo della capacità cognitiva, e come l’educazione della capacità cognitiva sia a sua volta necessaria e strumentale alla crescita della capacità di pensiero personale, unico e irripetibile.
In più qualsiasi intervento educativo deve potersi inserire tempestivamente in tale parabola di crescita (il papà di Emma non può pensare di portarla a passeggiare tra i boschi con una bussola né a tre anni né a venti), che non può essere colta se non all’interno di un quadro antropologico unitario e completo.
Infine quando nella sperimentazione scolastica già realizzata sono insorti problemi? Quando si è voluto scolarizzare il processo d’apprendimento, che è cosa diversa dall’introdurre i processi d’apprendimento a scuola. E per di più lo si è fatto avendo un paradigma di scuola limitato al suo livello riduttivamente istruttivo, ad esempio pretendendo di insegnare alla scuola dell’infanzia – sulla scorta del nostro esempio iniziale – i concetti di spazio, e dimenticando completamente (nella prassi educativa, non nelle affermazioni d’intento), che all’apprendimento è indispensabile la relazione educativa e che la relazione educativa è resa possibile dal sapere chi siamo noi e chi è l’altro (quadro antropologico).
È difficile pensare a Emma come a un genio odioso, privato della sua infanzia e che a scuola si sia annoiato.