Il Sussidiario pubblica una selezione di “tesine” presentate da alcuni studenti all’esame di maturità. La tesina, disponibile con link a lato testo, è introdotta da un breve articolo, in forma di lettera al direttore, in cui l’autore spiega il progetto, la storia, le motivazioni del suo lavoro. Gli studenti che volessero inviare la propria tesina possono farlo scrivendo a [email protected]
Caro direttore,
L’avventura della mia tesina non parte da un’idea, ma da un fatto. All’inizio dell’anno, studiando Oscar Wilde mi son ritrovata a leggere il suo “De Profundis”, una lettera che egli scrisse in carcere, dove visse due degli ultimi anni della sua vita poiché accusato di omosessualità dal padre del suo giovane amante.
Questo suo lavoro mi ha folgorata. Incredibile scoprire che il bisogno che mi accomuna a una personalità eccentrica e stravagante come quella di Wilde, che pensavo non avesse nulla a che vedere con me, è uno: il desiderio di poter percepire l’abbraccio di un Tu che va oltre il limite umano. Da qui, un viaggio.
Ho conosciuto Kierkegaard, e nel suo pensiero ho letto di me: per lui, l’uomo può ritrovarsi in uno “stadio estetico” in cui vive la realtà come una serie di fatti che non hanno un punto di senso che possa unificare la sua esistenza. Così, ricercando solo l’effimero piacere, egli approda alla noia della vita che lo porta alla disperazione.
Questa disperazione kierkegaardiana è però un seme; un seme per un buon frutto. È un trampolino di lancio che genera nell’uomo il profondo desiderio di abbracciare le infinite possibilità; genera l’attesa di un imprevisto che possa imporsi per salvare l’istante dalla morte. Proprio come accade al “Miguel Mañara” di Milosz, libro scoperto quest’anno che non ha mai smesso di accompagnarmi durante tutto il lavoro.
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Ho così incontrato Rebora e Montale, meravigliandomi della loro consapevolezza dello stesso bisogno e della stessa attesa che mi ritrovo addosso anch’io. A questo punto del colloquio, ho sentito il bisogno far vedere alla mia commissione d’esame una serie di quadri di Edward Hopper, artista che ha perfettamente rappresentato sulla tela la drammaticità dell’atteggiamento di apertura verso il reale che invita l’uomo a porsi di fronte alle cose come un bambino sorpreso che attende qualcosa per sé. Sono pochi i quadri a commuovermi come i suoi, perché in quei tratti leggo tanto della mia umanità.
A concludere questo percorso, ho raccontato di Oscar Wilde e dell’intuizione che in carcere gli salvò la vita: stufo di quei piaceri che gli avevano lasciato l’amaro in bocca, e rimasto privo di tutto ciò che possedeva, Wilde conobbe l’Umiltà, e iniziò così a desiderare per sé una “Vita Nova”.
Nello squallore del carcere, sentendo che persino i suoi sbagli erano stati abbracciati da quelli che un tempo erano perfetti sconosciuti, egli iniziò il cammino che alla fine della vita, sul letto di morte, lo porterà ad abbracciare quella novità che con violenza si stava imponendo nella sua esistenza. Si trattava di una novità che mendicava il suo sì: Cristo.
Infine, non ho potuto non portare la testimonianza dei miei amici carcerati di Padova, quei volti conosciuti al Meeting di Rimini, cambiati perché guardati, persino nei loro limiti. E questo è ciò che succede anche a me se sono abbastanza attenta per accorgermene. Ogni volta, ogni giorno di nuovo: cambiata perché guardata.
(Veronica Arduca)