SCUOLA/ Non bastano il latino e la riforma a spiegare il boom dei licei

- Tiziana Pedrizzi

TIZIANA PEDRIZZI commenta i dati relativi alle iscrizioni al primo anno nei diversi tipi di scuole superiori, dopo la riforma. E non è tutto oro quel che luccica

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L’anno si apre con i dati alfine consolidati delle iscrizioni al primo anno dei diversi tipi di scuole superiori usciti dalla riforma del governo Berlusconi. Pensare che l’orientamento delle famiglie venga significativamente modificato, in qualsiasi senso, da cambiamenti realizzati pochi mesi prima sarebbe ingenuo. Il normale cittadino italiano non riesce a tenersi informato direttamente, soprattutto perché fa fatica ad orientarsi nel guazzabuglio, cui è ormai ridotta la discussione sulla scuola superiore italiana. Ciò anche quando dovrebbe avere una forte motivazione a farlo; ma quanti italiani pensano oggi che il destino dei figli sia determinato dal percorso scolastico?

Le informazioni che arrivano alle famiglie sono filtrate o da passaparola storici o dalla attività delle scuole medie, per lo più svogliate e non sempre a loro volta bene informate (proviamo a fare un test sulla differenza fra IPS e CFP?). Inoltre, in Italia spesso si sopravvaluta l’importanza delle leggi nell’orientare la cosiddetta società civile, per non dire che spesso si pensa che la loro funzione sia quella di modellarla.

Invece le tendenze sociali procedono con una loro logica. I professori dei licei forse pensano che la grande recente fortuna del liceo scientifico sia dovuta ai meriti loro o – se va bene – del loro piano di studi. In realtà l’aspirazione ad una formazione generalista e non più direttamente professionalizzante deriva, negli ultimi decenni europei, non tanto dalla crescente sofisticazione delle richieste del mercato del lavoro (che ne sono in realtà più una conseguenza) quanto dall’innalzamento generalizzato del livello economico di vita e di consumi. Tra questi consumi c’è anche un prolungato periodo di formazione – o di libertà dai gravami del lavoro? – per i propri figli.

Continua perciò il trend favorevole delle iscrizioni per i licei: non sembra che la recente crisi economica sia arrivata a determinare mutamenti negli orientamenti delle famiglie. I licei classici diminuiscono dal 10 al 7,1%, ma non si tratta certo di un crollo, perché i licei linguistici, che erano per lo più allocati in forma sperimentale presso di loro, arrivano fino al 5,7% . Dunque l’area della formazione linguistico – letteraria registra un incremento pari quasi al 4%.

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Stesso segnale positivo per la licealità viene dal leggero incremento dei licei artistici (0.3%) e dalla sostanziale tenuta del liceo delle scienze umane con il 4,5% che, insieme alla sua opzione economico-sociale – che raggiunge in fase di in fase di decollo l’1,9% – tocca il 6,4% . E’ vero che manca all’appello l’1% rispetto allo scorso anno, ma questo è probabilmente riassorbito dal liceo linguistico, che si rivolge allo stesso tipo e genere di utenza, spesso all’interno della stessa scuola.

 

Continua l’ascesa del liceo scientifico che raggiunge – con l’opzione “scienze applicate” al 3,5% – il 22,9% con un incremento di quasi l’1%. Sbaglierebbe chi pensasse che si tratta di una fuga facilitante dal latino, che in realtà al liceo scientifico è oramai l’ombra di se stesso; molti, fra cui evidentemente gli iscritti, pensano che si tratti del vero liceo scientifico. Gli anni prossimi ci diranno se questa tendenza continuerà.

 

Forse è per la vicenda del liceo delle scienze applicate che l’istruzione tecnica non sembra avere invertito la rotta del declino, nonostante le energie profuse da Confindustria. Passare dal 34% al 31,7% è decisamente di segno negativo. Rischierà l’istruzione tecnica di essere il “terzo polo” del nostro sistema di istruzione? In realtà questo trend deriva dal fatto che in molte regioni (fra cui ad esempio il Veneto, punto di forza della battaglia confindustriale) è stato strappato alla istruzione tecnica il liceo scientifico-tecnologico, che era nato ed era stato allevato nel suo grembo.

 

Ora giustamente è stato affidato alla licealità scientifica, nel tentativo di svecchiarla. Confindustria stessa ha sostenuto che l’istruzione tecnica doveva andare da sola, per non annacquare la sua particolarità formativa nel generalismo dei licei. Come andrà a finire non è chiaro: ci sono i laboratori? Ancora più importante: ci sono i professori benevolmente disposti ad entrarvi ed i presidi pronti ad obbligarli a farlo?

 

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Sta di fatto che le amministrazioni regionali, che sono quelle che decidono dove collocare i diversi indirizzi, a volte hanno affiancato ad un Istituto Tecnico un Liceo, permettendo così la continuazione delle esperienze, a volte invece hanno privilegiato i Licei Scientifici. Per capire dunque se l’Istruzione Tecnica in quanto tale abbia ricominciato “a tenere”, bisognerà disaggregare i dati regionalmente.

Solo dello 0,9% è calata l’Istruzione professionale di stato, benché da quest’anno non possa più rilasciare il titolo di qualifica triennale. Infatti, gli accordi Stato-Regioni dell’aprile 2010 – che definiscono gli standard della Istruzione e Formazione Professionale Regionale di 3° e 4° anno – consegnano la qualifica definitivamente alle Regioni.

 

In questi anni però la quasi totalità delle Regioni si è ben guardata dal produrre norme che consentissero il reale decollo di questo loro sistema, già previsto dal Titolo V riformato e dalla Legge 53. Perciò a gennaio con apposita circolare il MIUR ha autorizzato i presidi a promettere alle famiglie la qualifica triennale, in assenza di determinazioni diverse da parte degli Assessorati competenti. Determinazione diversa, invece, pervenuta dall’Assessorato lombardo.

Dunque, prosegue l’avanzata della licealità. Peccato per la piega che questa licealizzazione ha preso in Italia: siamo saturi di para-umanisti light. Dopo anni di studi di grande soddisfazione e poca fatica, approdano ai Call Center. Nel frattempo i concreti mestieri della produzione e dei servizi cercano faticosamente i loro adepti fra i giovani immigrati o, a livelli più alti, nelle loro patrie di origine. Buona idea quella di Dario Di Vico sul Corriere della Sera: disperando oramai di orientare utilmente a 14 anni, forse è il caso di pensare a corsi post-diploma o anche post-laurea per quel 27% di giovani disoccupati che, se avevano in animo di trovarsi un lavoro, hanno evidentemente sbagliato strada.







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