SCUOLA/ Perché la Gelmini vuol “regalare” tutti i docenti ai sindacati?
Occorre sganciare la determinazione del fabbisogno di prof da abilitare dal calcolo delle possibili assunzioni nei ruoli dello Stato. Il punto di FABRIZIO FOSCHI sul TFA

Il futuro della scuola nel nostro Paese, che in gran parte coincide con la possibilità di consentire l’accesso al sistema nazionale dell’istruzione di giovani insegnanti motivati e preparati, rischia di essere totalmente compromesso, come rileva la lettera del CLDS (Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio), da una interpretazione restrittiva del Regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti, la cui pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale risale al gennaio 2011 (decreto n. 249).
I passaggi di carattere attuativo sono sempre delicati e i giochi al ribasso purtroppo frequenti. In questo caso, a proposito della definizione della quantità degli accessi ai percorsi di formazione, è successo che, mentre l’art. 5 del Regolamento (comma 2) fa riferimento al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione maggiorato del 30% e determinato anche “tenendo conto dell’offerta formativa degli atenei e degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica”, i numeri dei posti disponibili che il Miur ha comunicato agli uffici regionali per avviare i corsi di laurea magistrale a ciclo unico per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, e i corsi di laurea magistrale con annesso anno di tirocinio formativo attivo per l’insegnamento nella scuola secondaria (I e II grado) vanificano le aspettative di tanti giovani che vorrebbero avere una chance per tentare la strada della professione docente.
Anche l’anno di tirocinio transitorio (art.15) per ottenere la sola abilitazione che dovrebbe partire nel presente anno accademico, dopo la chiusura delle SSIS nell’ormai lontano 2008, sembra soggetto alla stessa modalità restrittiva.
Pochi posti disponibili, in alcuni casi nulli, per poche classi di concorso. Alcuni esempi si segnalano per la loro significativa incongruenza: per la scuola primaria in Sicilia ci sarebbero zero posti per tutto il triennio 2012-2015: questo significa che ai piedi dell’Etna non si apriranno corsi magistrali quinquennali abilitanti? Per la scuola secondaria di I grado sarebbero fatti partire i tirocini formativi attivi di tre sole classi di concorso (A033, Educazione tecnica; A059, Matematica e Scienze; A445, Spagnolo), e le altre?
Quanto alla secondaria di II grado, in tutto meno di 900 posti per il primo anno (2012-2013), aggregati in 12 aree, corrispondenti nella logica ministeriale a 12 corsi regionali o interregionali, con l’implicita conseguenza che chi dalla Lombardia, poniamo, voglia iscriversi al corso di Matematica, lo debba frequentare in Campania o viceversa debba stabilirsi a Milano chi, da Napoli, si voglia formare e abilitare in una delle classi di concorso di materie tecnologiche.
Si è giunti a questo punto, che ci auguriamo vivamente sia corretto, per una ragione rintracciabile nel testo del primo decreto attuativo del Regolamento (n. 139/2011): il calcolo dei posti disponibili per la formazione e abilitazione dei docenti avviene nell’ottica della programmazione (e razionalizzazione) regionale dei posti disponibili per il reclutamento dei docenti. Non si spiegherebbe altrimenti la seguente premessa che compare nel suddetto decreto attuativo: “il fabbisogno di personale docente nelle scuole, determinato a livello regionale, è numericamente esiguo”. La quantità dei posti del personale da assumere potrà anche essere esigua (secondo certi parametri non è del tutto vero), ma perché il numero dei posti da assegnare alla formazione e abilitazione dei docenti deve essere altrettanto esiguo?
Si persegue in questo senso un errore, più volte denunciato su queste pagine, che impedisce in Italia lo sviluppo di una nuova identità professionale docente, da concepire come una responsabilità che si assume e non come un ruolo impiegatizio. L’errore consiste nell’intreccio perverso che nella mentalità diffusa e nella pratica avviene tra l’abilitazione all’insegnamento e il reclutamento nei ruoli professionali.
Fino ad ora si è sempre ritenuto che il docente che si laurea in una disciplina attinente l’insegnamento e che si abilita sia un potenziale pretendente al posto fisso tramite il meccanismo delle graduatorie permanenti dalle quali, in assenza atavica di concorsi, si scivola alla fine sulla cattedra di un qualche istituto scolastico. Il nesso inscindibile tra le due fasi (abilitazione e reclutamento) ha consentito al potere contrattuale in mano al sindacato di gestire la categoria insegnante secondo i principi dell’appiattimento e della scarsa valorizzazione dei compiti professionali.
Poiché già da oggi le graduatorie sono ad esaurimento, si può finalmente girare pagina e separare il percorso formativo/abilitante dal capitolo assunzione/reclutamento. Attenzione: questo non significa che il secondo aspetto non debba essere pensato e riorganizzato. Lo potrà essere in forme nuove, solo se concettualmente e in sostanza sganciato dal primo.
Da una parte, dovranno essere svuotate le graduatorie permanenti degli abilitati con immissioni in ruolo sui posti disponibili (la norma, cioè il Testo Unico, prevede che il 50% vada alle nomine a tempo indeterminato e il restante 50% a concorso).
Dall’altra, però, dovrà essere determinato il fabbisogno degli insegnanti da ammettere ad abilitazione secondo criteri che prescindono dal calcolo delle possibili assunzioni nei ruoli dello Stato. Ne servono molti di più. Esattamente, quanti ne può sostenere un sistema che per dotare la scuola di insegnanti responsabili e preparati, riconosce ad un ampio numero di persone l’attitudine e l’idoneità all’esercizio di una professione che il singolo promuoverà, se lo vuole, sottoponendosi alle varie forme di assunzione che dovranno prevedere, tutte, la congruenza tra le competenze disciplinari del singolo e il profilo della scuola nella quale verrà immesso.
I criteri del fabbisogno, nelle circostanze attuali, possono essere rintracciati nel seguente modo: 1) disponibilità formativa delle università, che dovranno registrarsi sulla necessità di realizzare corsi di laurea magistrali e tirocini di livello, in sintonia con le scuole nelle quali le esperienze di scuola attiva dovranno essere compiute; 2) quantità dei neolaureati che si è venuta sedimentando in attesa dell’avvio della nuova fase abilitante dopo la chiusura delle SSIS.
Altra questione è la capacità del sistema nazionale di istruzione (e della formazione professionale regionale) di accogliere docenti abilitati secondo forme di assunzione che possono andare dalle prove concorsuali alla chiamata da parte delle scuole o reti di scuole.
Secondo questa ottica si potrà pervenire ad un quadro complessivo più liberale e funzionale nel quale non si scontrino le attese degli insegnanti in lista nelle graduatorie e quelli che ambiscono al riconoscimento del titolo per esercitare la professione.
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