SCUOLA/ Così il Tar deciderà le sorti del concorso di Profumo
Il concorso bandito dal ministro Profumo rischia seriamente di saltare a causa di una pioggia di ricorsi. Per evitarli bisognerebbe smantellare il centralismo. FRANCESCO MAGNI

Il concorso bandito dal ministro Profumo, oltre ad aver sollevato una marea di giustificate critiche e di perplessità, ripropone uno schema ormai consueto nella vita delle nostre istituzioni scolastiche: sempre di più infatti il destino della scuola e degli insegnanti sarà deciso nelle aule dei tribunali che, nelle prossime settimane, saranno chiamati ad esprimersi sui ricorsi presentati dagli “esclusi”, a loro avviso in modo ingiustificato, da questo concorso.
La situazione è davvero delicata se un quotidiano autorevole come il Sole 24 Ore il 16 ottobre ha pubblicato un pezzo che forniva le “istruzioni per l’uso” per ricorre contro il bando del ministero, rispondendo alle domande: “Che possibilità hanno gli esclusi dal concorso di ottenere l’ammissione con un ricorso al Tar? Quali procedure attivare?”. Seguiva quindi una puntuale guida per indirizzare passo dopo passo l’aspirante ricorrente nelle procedure del ricorso amministrativo.
Numerose sono infatti le “categorie” di persone potenzialmente interessate a presentare ricorso: innanzitutto vi è quella dei laureati dopo il 2001-2002, che non si sono abilitati con le vecchie Ssis entro il 2008; allo stesso modo i cosiddetti “congelati Ssis”, cioè coloro che hanno superato l’esame di ammissione alle scuole di specializzazione ma hanno sospeso la loro frequenza (spesso in seguito ad aver vinto un dottorato di ricerca). Questi ultimi, quando nel 2008 sono state definitivamente chiuse le Ssis, si sono trovati senza abilitazione e devono perciò aspettare il completamento del tirocinio formativo attivo (Tfa), seppur senza dover sostenere l’esame di ammissione e con il riconoscimento degli eventuali crediti acquisiti. Infine si possono configurare profili di illegittimità costituzionale per l’esclusione dei docenti di ruolo prevista dall’articolo 2, comma 6 del Bando, che potrebbe essere impugnata perché in contrasto con l’articolo 51 (oltre che 3 e 97) della Costituzione secondo cui “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Insomma, chi ha i requisiti per partecipare, ma ha già un contratto nella scuola statale, è fuori dalla selezione. Una diversità di trattamento che appare davvero difficile da giustificare.
Sono effettivamente di un certo peso i rilievi che possono essere mossi contro il bando, come ha dichiarato “a caldo” la Cisl scuola: “In questa vicenda, dopo inspiegabili ritardi, è subentrata la fretta e ne è scaturito un bando di concorso che fornisce troppi spunti di possibile contenzioso”. Un altro sindacato, l’Anief, tra i più agguerriti nel proporre ricorso, ha individuato ben 8 motivi per impugnare il bando. Anche il Codacons pochi giorni dopo la pubblicazione del bando ha annunciato il ricorso al Tar del Lazio da parte di oltre 800 insegnanti.
Ecco che quindi appare inevitabile porsi una domanda: fino a quando sarà sopportabile questo clima di incertezza del diritto e di continua battaglia legale a suon di ricorsi? La nostra scuola non merita tutto questo caos, così come non lo meritano i cosiddetti “precari” né i giovani aspiranti insegnanti. È sempre più evidente che una gestione dirigistica e centralistica della macchina del ministero di Viale Trastevere sia costosa, inefficiente e caotica, in grado di garantire solo una costante pioggia di ricorsi.
Occorre quindi provare a uscire da questa giungla normativa, dove tutti hanno ragioni da vendere e possono far valere un qualche diritto contrario ed opposto a quello altrui, in una estenuante e contraddittoria “lotta tra poveri”. Per limitarci al reclutamento dei docenti, si potrebbe iniziare con il seguire delle piste riformatrici tracciate dalle parole autonomia, libertà, differenziazione e decentramento. Per il resto, basti ricordare quanto scriveva don Sturzo, ne La Regione nella nazione, (1949), a proposito del “mastodontico” Ministero della Pubblica Istruzione che si deve occupare “dei trasferimenti, permessi e concorsi e pensionamento di tutto il personale scolastico compreso bidelli e uscieri. Quanto un tale accentramento sia dannoso per l’istruzione italiana non c’è persona con la testa sulle spalle che non lo affermi”.
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