Proponiamo ai lettori le tesine prime classificate alla XI edizione dei Colloqui Fiorentini, organizzati da Diesse Firenze e Toscana il 23, 24 e 25 febbraio scorso a Firenze e dedicati quest’anno a Ugo Foscolo. Dopo quella di ieri del biennio, per il triennio è risultato vincitore il lavoro dal titolo A fondo, a galla, in altum: L’illusione di un amore che sembrava perfetto, autori Alberto Bordin, Ginevra Morgante, Francesco Nardone, Giovanni Zof delle classi I e II classico e III e IV scientifico del Liceo “Bertoni” di Udine. Coordinamento dei docenti Saviana Corso e Lucina Vida.
A fondo, a galla, in altum
L’illusione di un amore che sembrava perfetto
Introduzione – “Sì, ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un odore soave; le aure erano tutte in armonia; i rivi risuonavano da lontano; e tutte le cose s’abbellivano allo splendore della Luna che era tutta piena della luce infinita della Divinità.” (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Prima Parte, 14 Maggio, a sera)
“Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s’abbellisca a’miei sguardi; […] non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. […] Illusioni! Grida il filosofo. Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de’ baci delle immortali dive del cielo che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie […]. Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor di più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele”. (Ibidem, Prima Parte, 15 Maggio)
Perché Foscolo si agita tanto ma non fa un cammino? Mentre scorrevamo le pagine delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, ci siamo soffermati sul modo attento e intenso con cui Foscolo guarda la realtà, su quel suo lasciarsi interrogare e affascinare da ogni dettaglio di essa e poi, però, sul suo ricadere improvvisamente nella rassegnazione impostagli dalla cultura meccanicistica del suo tempo, non appena sembra intravedere l’ombra di una vera felicità.
Ma perché si arrende, definendo illusioni fatti che gli sono dati in modo così evidente? Perché, attraverso la letteratura, “crea le deità del bello, del vero e del giusto […]”, ma poi non ci crede realmente e smentisce tutto? Perché chiama “beati gli antichi”, che riuscivano a riconoscere il bello e il vero, ma non ne prende atto fino in fondo anche lui? Perché quando è con Teresa ai suoi occhi cambia ogni cosa, tutto diviene più bello, ma, quando è solo, si blocca?
Attraverso questa tesina abbiamo tentato di comprendere perché un uomo vivo, vero come Foscolo, si fermi e torni indietro, non riconosca per ciò che è tutto quel che vede, mentre noi, di fronte a ciò che di bello e di vero ci accade, essendo risvegliati, vogliamo seguirlo e arrivare al punto decisivo e mantenerlo. Di fronte a ciò che ci colpisce, di fronte alla nostra Teresa, noi non riusciamo a pensare che tutto sia un‘illusione.
Agitarsi e agitare – “Il cuore domanda sempre o che i suoi piaceri siano accresciuti, o che i suoi dolori siano compianti; domanda di agitarsi e di agitare, perché sente che il moto sta nella vita e la tranquillità nella morte” (Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, IV).
Queste sono state le prime parole di Ugo Foscolo che abbiamo letto quest’anno e, da quel momento, mentre continuavamo a leggere, sempre ci tornavano in mente.
“Il cuore domanda sempre”, sì, è vero, anche il nostro cuore domanda. Il nostro cuore desidera vincere la partita di calcio, il nostro cuore vorrebbe che l’interrogazione di filosofia andasse bene, il nostro cuore vuole innamorarsi della ragazza più bella che abbiamo conosciuto, il nostro cuore domanda di non restare solo. E quando finalmente abbiamo vinto la partita, quando è andata anche l’interrogazione, quando ci siamo innamorati, il nostro cuore vuole di più, il nostro cuore domanda ancora, domanda “sempre”.
“Domanda di agitarsi e di agitare”. Cosa? No, non è possibile, il nostro cuore non può volere questo, non può agitarsi… e basta. Noi vogliamo fare un cammino: non vogliamo assolutamente, dopo esserci mossi, dopo aver domandato, dopo aver vissuto, ritornare esattamente al punto di partenza. Il nostro cuore vuole camminare.
Sì, il moto sta nella vita. Ma agitarsi significa muoversi? La fisica ci dice che dopo un qualsiasi cambiamento di stato dell’energia si ha una dispersione e un aumento del disordine cosmico, ma in questo modo, prima o poi, l’energia finisce e la vita muore. È come agitare una bottiglia di Coca: prima o poi perde tutto il gas, fino a diventare tranquilla, imbevibile.
Attraverso la lettura dei testi di Foscolo, ci siamo poi accorti che lui ha mille passioni, mille desideri, ma non riesce mai a raggiungerli e a soddisfarli e il risultato è quest’agitarsi infinito, anzi finito, che, quando si esaurisce, muore.
Cos’è dunque che impedisce a Foscolo di fare un cammino? Con questa domanda abbiamo affrontato i testi, specialmente Le ultime lettere di Jacopo Ortis, per scoprire dove e quando Jacopo si agita, dove invece riconosce un qualcosa che risponde alla sua domanda, dove lo nega.
C’è infatti, nella vita di Jacopo, un imprevisto, un qualcosa che interrompe il suo agitarsi casuale: Teresa.
L’amore – Due sono gli aspetti in cui emerge maggiormente il risveglio di Foscolo, il suo andare oltre alla concezione materialistica della realtà: l’amore per la patria e l’amore per la donna. Per quanto riguarda l’amore per la patria, si nota continuamente nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis il dolore profondo di Jacopo nel vedere la propria terra oppressa e privata della propria indipendenza, ma anche l’amarezza perché ritiene che pochi dei suoi compatrioti abbiano veramente a cuore la sorte dell’Italia e siano disposti a sacrificarsi e a superare i propri egoismi e interessi.
Ma Foscolo ci colpisce soprattutto quando parla del suo amore per la donna, quando descrive le scoperte e i cambiamenti profondi che avvengono in lui nel momento in cui la realtà che lo circonda si riempie della presenza di colei che ama. Ne Le ultime lettere di Jacopo Ortis Teresa compare inaspettatamente quando tutte le speranze del giovane veneziano sono crollate e sembra aprirgli nuovi orizzonti. Davanti a questa novità Jacopo riscopre nella realtà una bellezza e una varietà di cui prima sembrava non accorgersi; l’arido meccanicismo di cui il suo pensiero è impregnato non viene messo in discussione dal punto di vista razionale, ma il cuore sembra ribellarsi e cerca dimensioni più ampie in cui vivere e amare. Ciò che ci ha colpiti è stato il suo atteggiamento nei confronti di un amore, quello per Teresa, che mette in crisi la sua concezione materialistica.
Jacopo diventa quindi un attento e appassionato osservatore di tutta la realtà, ma in particolare di ciò che gli sta più a cuore, di Teresa. Abbiamo notato questo in particolare leggendo la lettera dell’11 Dicembre:
“O! se tu avessi, com’io, veduto Teresa nell’atteggiamento medesimo, presso un focolare, anch’ella appena balzata di letto, così discinta, così – chiamandomi a mente quel fortunato mattino mi ricordo che non avrei osato respirar l’aria che la circondava, e tutti tutti i miei pensieri si univano riverenti e paurosi soltanto per adorarla – e certo un genio benefico mi presentò la immagine di Teresa”. (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Prima Parte, 11 Dicembre, ore 2)
Un’attenzione così grande fa sì che tutto desti in lui il desiderio di senso e di compimento. Ma ancor più sorprendente è la prima reazione destata in lui da tale osservazione: di fronte a ciò che lo colpisce realmente, il poeta si mostra evidentemente felice, e cambia il suo modo di stare di fronte a ciò vede, ai suoi occhi tutto diviene diverso, più bello rispetto a prima. L’esempio più evidente di questo è la sua reazione dopo l’amore dichiarato da Teresa e il suo bacio:
“Dopo quel bacio io son fatto divino. (…) Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi” (Ibidem, Prima parte, 15 Maggio)
A noi accade la stessa cosa: di fronte a un fatto eccezionale, di fronte a una donna, noi siamo in qualche modo risvegliati e, se guardiamo quell’evento eccezionale con la stessa intensità di Foscolo, ci accorgiamo di come esso cambi anche il nostro modo di stare di fronte a tutte le altre circostanze. Noi solitamente non riusciamo a stare di fronte a una donna o ad altro come lo fa Foscolo, non abbiamo una tale attenzione; eppure, nel momento in cui intravediamo la bellezza, cerchiamo a tutti i costi di comprenderla, seguirla. È tuttavia esattamente riguardo a questo “seguire” che Foscolo ci ha deluso.
Infatti, se noi tentiamo di andare a fondo, lui invece torna a galla. Gli succede la cosa probabilmente più bella che possa accadere, quella che la maggior parte delle persone sogna e per cui molti soffrono: gli piomba davanti un amore, ma non un amore qualsiasi, un amore ricambiato, un amore da condividere non solo con se stesso. A quanti capita? Ci vuole forse un po’ di fortuna per incontrare la persona con cui ci si sente unicamente bene.
Jacopo Ortis si ferma davanti a Teresa, interroga alcune delle proprie convinzioni per andare a fondo con i suoi sentimenti, studiarli, capirli, renderli suoi, mantenerli: egli va a fondo, molto più a fondo rispetto a noi; e in quella profondità intuisce la vera altezza, scopre le stelle e “tenta di mirare oltre il velo che ravvolge il creato” (Dell’origine e dell’ufficio della letteratura).
Infatti “in fondo” e “in alto” sono la stessa cosa, come ci fa capire il latino con l’aggettivo “altus”, che racchiude in sé entrambi i significati: “profondo” e “alto”.
Ma poi Ortis torna deludentemente a galla. Noi spesso non siamo in grado di arrivare a quel livello di profondità, però, malgrado questo, cerchiamo di restare in qualche modo aggrappati a qualcosa che ci tenga lì, dove intravediamo la profondità. Un peso, un peso che deve essere maggiore di quello che siamo noi, un peso che ci stacchi dall’idea di rinunciare ad esplorare, un peso che per Foscolo non è stato sufficientemente grande o che forse non ha voluto cercare né vedere, ed è un peccato, perché quasi sicuramente avrebbe potuto scoprire qualcosa che andasse oltre ad un ordine di idee che già era suo, oltre a qualsiasi cosa fosse già sua, perché il “tesoro” ancora non l’aveva scoperto.
Illusioni – “Vi amo. A queste parole tutto ciò ch’io vedeva mi sembrava un riso dell’universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo, e mi parea ch’egli si spalancasse per accoglierci!” (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Prima Parte, 14 Maggio, a sera)
“Dopo quel bacio io son fatto divino. […] Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi” (Ibidem, Prima Parte, 15 Maggio)
Ecco, nel suo agitarsi, Foscolo ha incontrato qualcosa, qualcosa di bello e di vero: ha baciato Teresa! Finalmente è arrivato a quello che più desiderava da tanto tempo. È stato accanto a lei, l’ha ammirata, l’ha amata, l’ha desiderata e lei gli ha risposto: “Vi amo”. Cosa ci poteva essere di più per Jacopo che essere ricambiato dall’amore di Teresa? A queste parole lui si risveglia, sente che il suo cuore parte a mille, tutto gli sembra un riso dell’universo, tutto si abbellisce ai suoi sguardi, la natura è meravigliosa. Foscolo non può che ringraziare per questa bellezza che ha conosciuto: Foscolo ringrazia il cielo e gli pare addirittura di essere accolto in Paradiso.
Dopo quel bacio lui è fatto divino, non può negarlo: sta passeggiando sovra le stelle.
“Abbellisce le cose che si sono ammirate ed amate; […] tenta di mirare oltre al velo che ravvolge il creato; e […] crea le deità del bello, del vero, del giusto e le adora; crea le grazie e le accarezza […] aspira all’eternità; […] vola oltre le dighe dell’oceano, oltre le fiamme del sole, edifica regioni celesti, e vi colloca l’uomo e gli dice: “Tu passeggerai sovra le stelle”. (Dell’origine e dell’ufficio della letteratura)
Tutto è più bello, tutto è di più, tutto è più vero e Foscolo se ne accorge e lo adora, aspira all’eternità, edifica regioni celesti e passeggia sovra le stelle. Ha baciato Teresa!
“Edifica regioni celesti, e vi colloca l’uomo e gli dice: “Tu passeggerai sovra le stelle: così lo illude”. (Ibidem)
Così lo illude! Ma come è possibile che sia tutto un’illusione? Foscolo si trova di fronte a quanto di più concreto ci sia, e lo definisce un’illusione. Cos’è che gli impedisce di restare sul fondo di ciò che ha incontrato? Cosa gli impedisce di continuare a passeggiare sovra le stelle? È questo che non ci soddisfa di Foscolo: egli mette un limite a ciò che con tanta attenzione ha osservato lasciandosi stupire. Come può un attimo prima scendere così nel profondo e poco dopo tornare a galla, come può salire così in alto e poi precipitare di nuovo nel nulla?
Noi, rimasti delusi da questa contraddizione, abbiamo indagato e ricercato quale fosse la causa del suo limite. Ci siamo accorti così che il problema nasce ancor prima della vera illusione: c’è infatti un filtro, un pregiudizio intrinseco nel poeta che gli pone dei limiti già nella sua prima osservazione. Questo filtro è un’insicurezza, una diffidenza verso la realtà: Foscolo fin dall’inizio non è sicuro di nulla. Ce ne siamo accorti a partire da alcune parole che utilizza nel descrivere quello che vede e sente: “ciò ch’io vedeva mi sembrava […] mi parea ch’egli si spalancasse per accoglierci” e “Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi”. Questi “sembrava”, “parea”, “pare” sono indice dell’insicurezza, della diffidenza di Foscolo circa ciò che vede, ciò che si spalanca, ciò che s’abbellisce e diventano un pretesto, una scusa per poter poi rinnegare ciò che si è visto. È infatti impossibile negare una cosa che esiste, ma se una cosa sembra esistere allora è facile: è un’illusione!
Ecco quindi che ci è sorta un’ultima domanda: “Cos’è quindi che spinge Foscolo a diffidare della realtà? Cos’è che gli impedisce di credere a quello che vede e sperimenta?”
La prima e immediata risposta che abbiamo trovato è “la cultura materialista”; cioè quel pensiero comune e diffuso ai tempi di Foscolo che nega tutte quelle cose che non sono misurabili in modo scientifico e univoco. Tutte queste cose non commensurabili, come l’amore, la fiducia, la felicità, sono quindi solo “puri nomi”, non esistono, sono illusioni.
Però un’analisi più attenta ci ha fatto scoprire che questa diffidenza di Foscolo non deriva solamente da una mentalità popolare. Certo, la cultura materialista lo spinge a negare ciò che non è misurabile, ma, alla fine, è Foscolo che decide: è lui che alla fine sceglie di negare ciò che vede, non è la cultura che glielo impone, è lui che sceglie di affermare quella cultura. Ciò risulta palese dalle stesse parole di Jacopo Ortis sopra citate, ma lette con un accento diverso: “mi sembrava”, “mi parea”, “Mi pare”. Il “mi” cambia il significato, cambia la portata di queste parole, rende evidente che è lo stesso Foscolo ad illudersi e non che la realtà è illusoria in se stessa.
C’è dunque questo limite in Foscolo, questa diffidenza che gli impedisce di affermare ciò che ha visto, che gli impedisce di rimanere nel profondo, che gli impedisce di restare sovra le stelle. Così Foscolo si ferma e torna indietro, torna a galla, torna a terra: questo gli impedisce di compiere un cammino, non resta altro che agitarsi e agitare.
Fantasia – Cos’è quindi che rimane? Se la realtà è solo un’illusione, se nulla è vero, se tutto è solo apparenza, allora non rimane nulla, rimane solo la morte, oppure rimane l’illusione, la stessa illusione. In altre parole, questa diffidenza porterebbe all’autodistruzione (la morte, il suicidio istantaneo), a questo porterebbe la ragione materialista, ma qualcosa in Foscolo si oppone, come un peso, a questa fine. Lui non capisce subito che cosa sia questo “peso” ma, in qualche modo, non vuole subito cedere alla morte. Foscolo non crede alle illusioni, ma vorrebbe crederci. Perché vede che in quelle illusioni c’è l’unica possibilità per la sua vita (perché in altro luogo non è vera nessuna possibilità). Allora, mentre la sua ragione materialista, gli impone questa diffidenza, il suo cuore vuole liberarsi di questa ragione, vuole credere alle illusioni e invidia coloro che sono illusi così bene da non accorgersi che la realtà è solo una immensa finzione. È quindi presente un contrasto, una contraddizione irrisolvibile tra quello che la sua ragione gli impone e quello che il suo cuore vorrebbe.
“Illusioni! grida il filosofo. – Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de’ baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell’uomo, e che trovavano il BELLO ed il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore” (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Prima Parte, 15 Maggio)
Da questo passaggio risulta evidentissimo il fatto che Foscolo desideri illudersi e credere alle proprie illusioni, quindi proveremo a rispiegarlo con le nostre parole: tutto è un’illusione, dicono i filosofi, dice la cultura materialista, la fredda regione calcolatrice. Ma beati coloro (gli antichi) che sono riusciti ad illudersi (la bellezza, le grazie, il bello, il vero) così bene da credere (si credeano degni) veramente alle loro illusioni. È vero che gli antichi si sono creati tutto, si sono illusi, hanno usato la loro fantasia per creare quelle illusioni, ma si sono illusi così bene da crederci veramente. Ma beati loro! Beati loro che, almeno così, erano felici. Sì, è tutto un’illusione, ma se non ci fosse quest’illusione la vita sarebbe solo dolore. Ecco perché Foscolo desidera illudersi e lo fa (come gli antichi) attraverso la fantasia, attraverso la letteratura.
“E la fantasia del mortale […] abbellisce le cose […] tenta di mirare oltre il velo che ravvolge il creato […] crea le deità del bello, del vero, del giusto, e le adora; crea le grazie, e le accarezza; elude le leggi della morte […] aspira all’eternità […] edifica regioni celesti, e vi colloca l’uomo e gli dice: “Tu passeggerai sovra le stelle: così lo illude, e gli fa obbliare […] con l’incantesimo della parola” (Dell’origine e dell’ufficio della letteratura)
Così Foscolo tenta di illudersi, così, con la fantasia e con l’incantesimo della parola, abbellisce le cose (che, in realtà, secondo la ragione non sono belle), così riesce a guardare oltre il velo (la fredda ragione) che oscura la realtà, così crea le divinità del bello, del vero, del giusto e le riconosce, crea le grazie, supera la morte, aspira all’eternità, passeggia sovra le stelle. Grazie alla fantasia si illude, si muove, si agita, scende nel profondo, sale fino alle stelle. Ma la fantasia non è abbastanza pesante per tenerlo giù, la fantasia ha bisogno di non essere solo fantasia, la fantasia deve essere realtà! Ma Foscolo non riesce a credere alla realtà, la sua diffidenza, la sua ragione glie lo impedisce e quindi molla la presa, abbandona il suo cuore e torna indietro, abbandona i suoi sentimenti e torna a galla, abbandona la bellezza e ricade, abbandona la sua vita e muore.
Conclusione – “Ho amato! tu stessa, tu mi hai presentata la felicità; tu l’hai abbellita de’ raggi della infinita tua luce; tu mi hai creato un cuore capace di sentirla e di amarla; ma dopo mille speranze ho perduto tutto ed inutile agli altri, e dannoso a me, mi sono liberato dalla certezza di una perpetua miseria” (Ultime lettere di Jacopo Ortis, Seconda Parte, Venerdì, ore 1)
Queste parole ci sembrano sintetizzare tutta la contraddizione presente in Foscolo: da una parte è palese il suo sguardo attento e “altus”, dall’altra è evidente il suo limite, la sua incredulità e quindi il rinnegamento di ciò che ha visto.
In Foscolo manca la fiducia in quel peso più grande di lui per non tornare a galla. Non lo riconosce e dunque è costretto a crearsi le sue illusioni, “crea le deità del BELLO e del VERO”. Quindi nel momento in cui la sua fantasia non è più in grado di soddisfare il suo desiderio, nel momento in cui si accorge che c’è un divario troppo grande tra ciò che vede e ciò che immagina, in quel momento finisce lo slancio che la fantasia e l’illusione sono in grado di dargli, quindi finisce il suo movimento, finisce il suo agitarsi e dunque non rimane che la morte.
Noi desideriamo un’attenzione come quella del poeta, ma ancor più desideriamo che quell’attenzione lasci qualcosa dentro di noi, qualcosa che duri.
Noi vogliamo essere in questo diversi da Foscolo, vogliamo fidarci di quel peso che ci tiene a fondo, quindi della nostra esperienza che ci ha dimostrato più volte che la realtà è vera, non è illusione: quando seguiamo una bella ragazza che ci colpisce, se coltiviamo sul serio il rapporto non rimaniamo delusi, ma possiamo essere felici con lei.
Solo fidandoci, impegnandoci con ciò che ci sorprende, possiamo scoprire la bellezza e rimanere a fondo, rimanere sovra le stelle.