Martedì scorso è scaduto il tempo per presentare gli emendamenti al decreto n. 104 sulla scuola battezzato “L’istruzione riparte”. Un “volume” di 154 pagine che verrà preso in esame dalla commissione Cultura della Camera a partire dalla prossima settimana.
Esiste un emendamento senza il quale tutti i possibili cambiamenti faranno comunque arretrare di 13 anni la situazione di un Paese che teoricamente parla di sussidiarietà verticale ed orizzontale e praticamente la nega. Questo tema dovrebbe essere caro al presidente del Consiglio, Enrico Letta, che ha partecipato fin dall’inizio ai lavori dell’intergruppo parlamentare per la sussidiarietà e non dovrebbe essere estraneo ad una sinistra che nel 2000 ha varato una legge di parità e nel 2007 ha sancito che l’obbligo di istruzione si può assolvere anche frequentando i percorsi triennali di istruzione e formazione professionale accreditati dalle regioni.
Il decreto tocca alcuni punti cruciali, come il welfare nei confronti degli studenti e delle loro famiglie, l’orientamento, il rapporto scuola-lavoro, l’istruzione tecnica e professionale, la formazione dei docenti, il sostegno ai disabili, la lotta alla dispersione scolastica, la dirigenza, ma non fa mai riferimento al milione di studenti che frequentano le scuole paritarie o i centri di formazione professionale. Non si ricorda delle loro famiglie, dei loro insegnanti, di chi, essendo portatore di handicap, avrebbe diritto al sostegno, anche se ha la colpa di frequentare una scuola paritaria.
Solo in un punto del testo vengono citate le scuole paritarie: quando si parla del divieto di fumare le sigarette elettroniche. Perché questa miopia?
Non basta dire che le risorse sono poche. È una questione di principio. Tutti sanno che in Italia la parità di trattamento è solo garantita dal punto di vista giuridico. Perché negare anche questo? Alle scuole paritarie oggi va l’1% delle risorse complessive del bilancio dello Stato e le famiglie non possono neanche dedurre le spese che sostengono per l’educazione dei figli. Quando si parla del ruolo che le scuole paritarie possono svolgere nel sistema di istruzione lo si fa calcolando il risparmio di 7 miliardi che lo Stato riesce ad avere perché un milione di studenti non frequentano le sue scuole! È il principio di sussidiarietà al contrario: le famiglie aiutano lo Stato a svolgere un servizio che avrebbero il diritto di ricevere e non ricevono, anche se pagano le tasse come gli altri.
Da questo punto di vista la questione degli studenti portatori di handicap che frequentano le scuole paritarie è emblematica. Nel decreto scuola non sono neanche menzionati, anche se sono 17.149.
Come accade per i finanziamenti, anche per le risorse statali destinate alla disabilità esiste in Italia una piramide rovesciata: per le elementari convenzionate sono assegnati 806 euro l’anno per ogni ora di sostegno riconosciuta (da 5 anni l’importo che viene dato alle scuole per le classi convenzionate non aumenta neppure se servono maggiori ore per il sostegno). Per la scuola media e per la scuola superiore il contributo statale va da 300 a 2000 euro l’anno complessivi ad alunno, a prescindere dalle necessità certificate. La legge 62 chiede giustamente che le scuole paritarie accolgano gli alunni portatori di handicap, ma con che fondi? Mi sarei aspettata che in questo provvedimento che interviene in modo consistente per dare stabilità a 26mila docenti di sostegno delle scuole statali, si fossero destinate almeno delle briciole anche per i disabili che frequentano le scuole paritarie.
Siamo sicuri che contraddire continuamente una logica di tipo sussidiario aiuti a migliorare la qualità della scuola e a mettere al centro veramente gli studenti? In un momento di crisi come questo lo Stato deve garantire le condizioni perché nelle scuole autonome, statali e paritarie gli insegnanti e i dirigenti possano lavorare al meglio e deve cercare di sostenere le famiglie nella loro scelta educativa, senza costringerle ad assurdi sacrifici.
Solo una logica sussidiaria può fare ripartire la scuola italiana, per questo l’emendamento che allarga il decreto scuola a tutto il sistema nazionale di istruzione e formazione è essenziale. Senza questo “dettaglio” il provvedimento non può che tradire i motivi per cui è stato fatto.