Proseguendo la riflessione avviata, rileggendo George Orwell sul rapporto tra parola e pensiero è significativo constatare che tali considerazioni non sono affatto esclusive dell’ultimo secolo; anzi, esse provengono da molto lontano, ed è corretto affermare che costituiscono proprio uno degli assi portanti della cultura europea.
Questo si può ben vedere nell’opera di uno scrittore vissuto agli inizi del Medioevo, e che è poi stato maestro di intere epoche successive: Isidoro di Siviglia (ca. 562-636 d.C.). Egli visse in un’epoca assai diversa dalla nostra, ma di certo non meno tranquilla, in una Spagna dominata dai Visigoti, convertitisi in quegli anni al cattolicesimo (587). Dall’anno 600 Isidoro, in qualità di vescovo di Siviglia – la più importante città del regno barbarico – si trova a dover riorganizzare la Chiesa a livello nazionale, in un momento storico nel quale la cultura (formazione del clero, amministrazione della giustizia, ordine sociale) era andata fortemente in crisi.
A questo scopo è rivolta l’immensa produzione letteraria di Isidoro, nella quale spiccano tre opere sulle quali vorrei portare l’attenzione, traendo spunto da un lavoro dello studioso francese J. Fontaine. Si tratta di tre scritti che intendono recuperare la conoscenza di tutta la realtà attraverso la riscoperta del linguaggio, e che si intitolano: Differenze, Sinonimi, Etimologie. I titoli indicano tre esercizi in uso nelle antiche scuole di grammatica, e cioè il riconoscere le differenze di significato, le somiglianze e l’origine delle parole; insomma, si tratta di operazioni che oggi abbiamo pressoché dimenticano nella pratica dell’insegnamento, perché le riteniamo – per lo più – aride o cavillose. Del resto, le stesse ore di grammatica nella scuola media e al liceo sono facilmente ritenute dagli studenti, ma anche da molti insegnanti, come un noioso scotto da pagare al nostro sistema scolastico. Isidoro, al contrario, ritiene che la grammatica sia “la scienza del parlare correttamente, e l’origine e il fondamento delle discipline liberali” (scientia recte loquendi, et origo et fundamentum liberalium litterarum, Etym., I.V.); tradotto in termini correnti, essa è la base imprescindibile di tutta quanta la cultura: letteraria, religiosa, scientifica e tecnica. Forse, allora, vale la pena di mettersi in ascolto di questo maestro per imparare di nuovo che cos’è la grammatica.
La prima opera – Differenze – mira a riconquistare il significato specifico delle parole. Così la presenta il suo autore: “Molti scrittori antichi hanno cercato di distinguere le differenze delle parole indagando con accuratezza (subtilius) ciò che distingue una parola da un’altra. Invece i poeti pagani per necessità metriche hanno confuso la specificità (proprietatem) dei termini. E così a partire da loro è invalsa la consuetudine per cui da parte degli autori sono intese senza distinzione (indifferenter) molte parole, che, pur sembrando simili, tuttavia si distinguono tra di loro per un’origine specifica (propria origine)” (Prefazione).
A partire da questo presupposto, l’opera si articola in due libri: il primo tratta delle differenze tra le parole, procedendo all’incirca per grandi aree tematiche (il cosmo, la morale, la società, la geografia); il secondo recupera il significato di tutte quelle parole che riguardano Dio e l’uomo, trattando vari temi religiosi (la trinità, la creazione, la grazia e il libero arbitrio…). Basta un solo esempio per vedere la ricchezza di questo processo di riscoperta del mondo attraverso le parole. Come si dice stelle in latino? Ecco la differenza “tra sidera e astra, stellas e signa. Sidera si chiamano quelle che i marinai osservano per stabilire la rotta; astra sono invece le stelle grandi, come Orione; stellae quelle più piccole o complesse, come le Iadi e le Pleiadi; signum è ciò che dà luogo all’immagine di un essere vivente, come Toro, Scorpione e simili” (I.2). Diciamo che, se dentro a una sola parola c’è tanta abbondanza, il mondo dev’essere qualcosa di veramente grandioso e sconfinato!
La seconda opera – Sinonimi – è invece un dialogo tra Homo – la personificazione di ciascun uomo – e la sua ragione (Ratio). L’uomo è affranto dal male e non ha più alcuna speranza per sé; la ragione gli viene in soccorso, invitandolo a conoscere se stesso, per poter poi agire bene. Dapprima gli fa comprendere che lui ha peccato davanti a Dio, e lo invita perciò a chiedere perdono; in seguito gli indica la strada per una retta condotta morale in varie situazioni di vita. I sinonimi c’entrano perché tutta l’opera è scritta in brevi frasi che ripetono parole e gruppi di parole simili, così che ne sia facilitata la meditazione e la memorizzazione. Ad esempio, nel suo lamento iniziale l’uomo esclama: “Io, quell’uomo dal nome sconosciuto, uomo di fama oscura, uomo di infima stirpe, conosciuto solo da me, noto soltanto a me…” (I.6); in seguito la ragione lo esorta così: “Conosci, o uomo, te stesso, conosci che cosa sei, conosci perché sei sorto, per quale ragione sei nato, a quale scopo sei stato generato, perché sei stato creato…” (II.1). L’aspetto più interessante di queste pagine sta proprio nella fusione tra l’insegnamento grammaticale e quello spirituale. La lingua non è infatti insegnata – come ci si potrebbe aspettare – tramite aride nozioni, regole e tabelle, ma mettendo in scena la vicenda esistenziale dell’uomo; allo stesso tempo, il tema filosofico del senso della vita dell’uomo è trattato proprio attraverso lo strumento del linguaggio.
L’ultima opera – le Etimologie – è invece un maestoso affresco di tutto il sapere ereditato dall’antichità, e intende consegnare al lettore la conoscenza del mondo a tutti i livelli. Si trovano perciò libri dedicati alle arti liberali (il cosiddetto trivio e quadrivio, cioè le discipline grammaticali e scientifiche di base); altri trattano delle religioni e delle filosofie antiche; della vita in società (lingue e popoli, strutture politiche, militari e familiari); della cultura materiale (città e artigianato).
La convinzione che sostiene l’opera è che le parole permettono di instaurare un rapporto chiaro con la realtà, essendo esse mezzo che introduce l’uomo a conoscere l’essenza delle cose; infatti, ancor prima ancora delle parole, “le lettere sono indici delle cose, segni delle parole, e sono talmente potenti, da riuscire a dirci senza voce le parole di chi non è presente” (I.III). Trattando ad esempio della musica (disciplina assai più complessa di quel che intendiamo oggi con tale parola), scopriamo che: “Senza musica nessuna disciplina può essere perfetta, niente esiste senza di essa. Infatti si dice che il mondo stesso sia tenuto insieme da una certa armonia di suoni, e che lo stesso cielo ruoti sotto la modulazione dell’armonia. La musica muove gli affetti, provoca i sentimenti ad atteggiamenti opposti” (III.XVII).
È fuor di dubbio che accostare oggi opere come quelle proposte risulta arduo e lontano dalla nostra sensibilità, e tale lavoro è giustamente lasciato agli specialisti; è però altrettanto indiscutibile il fatto che da un autore di millequattrocento anni fa ci arriva un messaggio quanto mai attuale per chiunque si occupi oggi di educazione e insegnamento. Se dovessimo riassumere in uno slogan la lezione di Isidoro, non sbaglieremmo di molto affermando: “Riconquistiamoci le parole: riconquisteremo il mondo”; guardiamole, interroghiamole, studiamole, usiamole, litighiamoci anche, e impareremo a conoscere ogni cosa con un gusto maggiore, e ad agire con più intelligenza.