L’Invalsi, che da diversi anni misura i livelli di apprendimento in italiano e matematica degli studenti di alcuni livelli scolastici, a partire dall’anno scolastico 2011/12 ha avviato una ricerca predisponendo un questionario rivolto agli insegnanti di italiano e di matematica delle classi campione che partecipano alle rilevazioni nazionali Invalsi nelle classi II e V della scuola primaria, nella classe III della scuola secondaria di I grado e nella classe II della scuola secondaria di II grado.
Di recente sono stati presentati i primi risultati di questa ricerca. Il questionario sottoposto agli insegnanti è autosomministrato in modalità online, è costituito da una parte comune agli insegnanti di entrambe le discipline e una parte più centrata sulla didattica. La finalità della ricerca è principalmente quella di conoscere l’atteggiamento e le opinioni degli insegnanti nei confronti delle rilevazioni nazionali, oltre che di individuare aspetti di forza e di criticità relativi al contesto scolastico che incidono sulle performance degli studenti e studiarne l’effetto.
Il tasso di partecipazione all’indagine è stato di oltre l’80 per cento, pur essendo l’indagine su base volontaria. Dai primi risultati è emerso un quadro incoraggiante, sia in termini di percezione che i docenti hanno delle prove Invalsi sia in termini di utilizzo dei risultati delle stesse. Non sono mancate le critiche, anche costruttive, rilevate con una domanda aperta posta al termine del questionario alla quale hanno risposto il 12 per cento circa dei docenti.
Ma riassumiamo brevemente alcune delle evidenze più importanti.
In una domanda era chiesto ai docenti “Secondo le analisi degli esiti delle prove di apprendimento proposte da Invalsi, in media gli studenti delle regioni del Sud ottengono risultati meno soddisfacenti. Ritiene che questo fenomeno corrisponda a effettivi divari tra macro-regioni nelle competenze degli studenti?“.
Tale domanda, oltre ad aver ricevuto la più alta percentuale di “non so”, mostra delle differenze sia a livello geografico sia per livello scolastico. In particolare, l’accordo con tale affermazione è maggiore nelle classi della scuola secondaria sia essa di I che di II grado, mentre dal punto di vista geografico l’esistenza di tale divario è meno riconosciuta dai docenti che operano nelle aree del Mezzogiorno.
Considerando solo i rispondenti che hanno espresso accordo con tale affermazione, è stato chiesto loro “Pensa che i Dirigenti Scolastici e/o gli insegnanti possano creare le condizioni per ridurre tale divario?“.
Gli insegnanti delle classi II della scuola secondaria di II grado hanno risposto in modo più pessimistico rispetto ai loro colleghi di altri ordini di studio. Disaggregando il dato per macro-regione, emerge che nel Mezzogiorno coloro che riconoscono l’esistenza del divario sono convinti che né il dirigente né l’insegnante possano contribuire a ridurlo.
Circa l’opinione sulle rilevazioni Invalsi il dato è stato ancora più sorprendente. In merito alla “Reperibilità e fruibilità delle informazioni sul contenuto e sul significato delle prove” il giudizio positivo è stato del 70 per cento dei rispondenti; relativamente ai “Tempi di restituzione dei risultati delle prove alle singole scuole” il giudizio positivo si è attestato attorno al 65 per cento, con un picco dell’80 per cento per la classe III della scuola secondaria di I grado; in merito alla “Utilizzabilità dei risultati da parte dei singoli insegnanti e del consiglio di classe“ la valutazione positiva si è attestata attorno al 60 per cento con un picco anche qui per la classe finale del I ciclo d’istruzione. Solo la “Chiarezza delle informazioni sui risultati delle prove restituiti alle singole scuole” ha ricevuto una percentuale di accordo inferiore al 50 per cento in quasi tutti i livelli scolastici.
Infine, solamente l’opinione circa “Utilizzabilità dei risultati da parte dei singoli insegnanti e del consiglio di classe” presenta differenze territoriali: nello specifico Sud e Sud e isole presentano la percentuale maggiore di giudizi positivi, riconducibile per lo più alle 4 regioni dell’Obiettivo convergenza nelle quali è stata svolta, in stretta collaborazione con il Miur (Ufficio IV della Direzione generale per gli affari internazionali), una considerevole opera di sensibilizzazione alla valutazione.
Al termine del questionario è stata data la possibilità ai docenti intervistati di esprimere liberamente dei commenti. A questa domanda ha risposto il 12,3 per cento degli insegnanti. Le criticità evidenziate dai docenti hanno toccato punti molto importanti, ad esempio il fatto che le prove standardizzate non sono adatte agli allievi con Bisogni educativi speciali (Bes) e a studenti stranieri di recente immigrazione. Alcuni hanno lamentato la distanza tra le Indicazioni nazionali per il curricolo e le prove; per la scuola secondaria di II grado il fatto che le prove siano le stesse per i differenti indirizzi di studio. Infine, come era da attendersi, è stata contestata la presenza della prova Invalsi nell’esame di Stato e soprattutto il fatto che la sua valutazione incida sul voto finale.
Altra nota di rilievo è quella che riguarda l’effetto della didattica sugli apprendimenti di matematica rilevati con le prove standardizzate. Tra i principali risultati è emerso che nella scuola primaria le differenze di pratiche didattiche dichiarate dai docenti sembrano non influenzare in modo rilevante i risultati sia nel caso di domande su contenuti tradizionali (operazioni con i numeri interi) sia nel caso di domande basate su contesti reali (leggere e interpretare tabelle). Nella scuola secondaria di I grado, invece, le prassi didattiche nell'”argomentare” paiono influenzare i risultati, con una differenza significativa nel Sud e Isole; nello “svolgimento di problemi non di routine” anche con una differenza significativa tra Nord e Sud.
Infine, nella scuola secondaria di II grado si riscontrano risultati analoghi a quelli rilevati per la scuola secondaria di I grado: per “argomentare” e per gli esiti dei quesiti relativi a “relazioni fra numeri” le differenti prassi didattiche paiono fornire risultati significativamente differenti.
In conclusione, l’esperienza di questi ultimi anni di affiancare alle cosiddette prove cognitive anche questionari che consentano ai docenti e ai dirigenti di esprimere opinioni e osservazioni pare essere molto interessante. I questionari di contesto permettono di comprendere meglio il contesto in cui gli apprendimenti si producono, fornendo alla comunità scientifica, ma anche ai responsabili della politica scolastica, utili spunti di analisi e riflessione, specie nella prospettiva più generale e sistemica del costituendo Sistema nazionale di valutazione.