Dice il Miur a proposito dei libri di testo nella consueta circolare annuale che da il via alle procedure di adozione: “Il libro di testo è lo strumento didattico ancora oggi più utilizzato mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e di apprendimento. Esso rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica. Il libro di testo si rivela uno strumento prezioso al servizio della flessibilità nell’organizzazione dei percorsi didattici introdotta dalla scuola dell’autonomia: esso deve essere adattabile alle diverse esigenze, integrato e arricchito da altri testi e pubblicazioni, nonché da strumenti didattici alternativi.“
E così, dopo 30 anni di lotta all’apprendimento nozionistico, alle conoscenze libresche, allo stile ripetitivo e stereotipato di insegnamento, alla stanca e vecchia metodologia della lezione, il libro, il vecchio libro di testo è sopravvissuto e nessuno lo critica più. Ma anche nessuno lo nomina più.
La finzione secondo cui il docente qualificato e appassionato avrebbe dovuto inventarsi per ogni singolo alunno un curricolo specifico, unico, creativo, con percorsi e strumenti originali ed imprevedibili ed una valutazione dei risultati commisurata al progetto è finita. Lascia il posto da anni alla stanca consuetudine del piano di lavoro annuale del docente, spesso fotocopia di quello dell’anno precedente in cui si elencano le parole magiche della didattica creativa e socialmente impegnata per neutralizzare il preside, ben contento di essere neutralizzato.
La realtà, il corso naturale delle cose, ancora una volta ha preso il sopravvento sulle forzature e sugli artifici, sulle falsificazioni: ma quante energie sprecate. Sotto i colpi tremendi del “rivoluzionarismo scolastico” la didattica reale si è inabissata e con essa il libro di testo. A galla è rimasta la fotocopia, la fresca, giovane, vispa e democratica fotocopia, magari la fotocopia di qualche vecchio libro di testo.
Le famose biblioteche di classe come alternativa al monolitismo ed all’aridità culturale, la lotta al costoso corredo librario, la ricerca di metodologie alternative, la ricerca perenne: tutto si è spento, almeno nella forma virale. Era ora! …viene da dire.
Certo l’estremismo, l’allarmismo, il sensazionalismo, l’utopismo furioso non sono eliminati per sempre perché tenacissimi e sempre risorgenti sono coloro che utilizzano per i propri fini egoistici lo scontento di chi è stressato dalle difficoltà. Inoltre è ancora dominante il dolore generato continuamente dalla gigantesca stagnazione burocratica che da noi regna sovrana.
Ma per ora possiamo tornare a parlarne: sì, ormai il libro di testo non è più un tabù.
Le case editrici, punto di raccolta di tante esperienze ed anche di tanto lavoro, escono vincenti dal titanico scontro più che trentennale, ma prudentemente mantengono un profilo basso. Puntualmente i venditori (promotori editoriali) all’inizio del secondo quadrimestre si presentano nelle scuole, con passi felpati si avvicinano ai docenti e presentano i testi, quelli nuovi, quelli vecchi, le nuove edizioni dei classici.
Il docente partecipa, ancora un po’ guardingo, ma non più tanto, nei confronti dei promotori editoriali, possibili “affaristi” delle case editrici, e chiede magari una “umanizzazione” del rito “mercantile” dell’adozione tramite il dono di un corredo gratuito per l’alunno bisognoso, cosa che il venditore quasi sempre assicura. Ovvio che tutto incide sul costo finale del testo.
La direttiva ministeriale, anch’essa prudente, mantiene aperte le opzioni alternative e recita “Il collegio dei docenti può adottare, con formale delibera, libri di testo oppure strumenti alternativi, in coerenza con il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento scolastico e con il limite di spesa stabilito per ciascuna classe di corso”.
Inoltre stabilisce, ancora una volta ma sempre più stancamente, che ci vuole una consultazione preliminare di tutti i docenti di materia, dei genitori, un confronto con i programmi scolastici per verificare l’idoneità ed il gradimento universale del testo proposto. Nella pratica non si è mai visto un collegio docenti fare davvero l’esame approfondito di un libro. Ogni docente che vuole adottarne uno presenta un modulo compilato e tutte le richieste sono approvate “nel rispetto della libertà di ciascuno”.
Anche l’egemonia non viene perseguita più da nessuno dopo gli anni ruggenti in cui era emersa una — a prima vista strana — tendenza “di sinistra” all’adozione del libro di testo unico di istituto. La stanchezza, dopo decenni di delirium tremens, di paralisi agitante, di agitazione paralizzante, ha fatto vincere la linea del minimo scontro, della minima polemica.
E va bene così! Ma adesso potrebbe davvero cominciare un confronto ed una valutazione aperta e qualificata dell’uso reale del libro di testo nella scuola, senza intenti polemici e senza bersagli da colpire.
A me appare evidente, oggi, come l’analisi comparata dei libri di testo più usati sarebbe utile in tutti i corsi di formazione sia iniziale che in itinere dei docenti. E darebbe anche ai professionisti della formazione dei docenti una semplice e sicura base di riflessione e di lavoro. Il tutto agirebbe poi potentemente sull’evoluzione corretta e temporalmente ben collocata dei sussidi didattici.
Animato da questi propositi, ho provato a cercare qualche tabella riassuntiva sui libri di testo più usati in Italia e nelle varie regioni. In particolare mi interessava fare un confronto circa gli eserciziari dei testi di matematica nella scuola media e cercavo i tre libri di testo più adottati a livello nazionale e nelle singole regioni.
Ricerca infruttuosa. Gli uffici scolastici provinciali e regionali non sono in grado di fornire questi dati. Ovviamente li hanno, perché ogni scuola annualmente invia l’elenco delle adozioni, ma non fanno un’elaborazione complessiva dei dati. Questo lavoro, utilissimo per l’osservazione, il controllo, la regolazione del sistema viene relegato e ibernato fuori dal ministero.
La famosa circolare annuale del Miur prescrive “Le deliberazioni di adozione dei libri di testo sono trasmesse per via telematica all’Associazione Italiana Editori. Inoltre, sono pubblicate all’albo e sul sito web delle istituzioni scolastiche nonché sul portale ministeriale ‘Scuola in chiaro’, suddividendo i libri tra obbligatori e consigliati (questi ultimi senza vincolo di acquisto da parte delle famiglie degli studenti)”.
Ovviamente l’Aie ed i vari editori operano con la loro logica, che è legittimamente commerciale ed imprenditoriale. “Ogni anno scolastico Aie, a seguito di un accordo con il Miur, mette a disposizione i dati delle adozioni dei libri di testo adottati nelle scuole primarie e secondarie italiane, così come da queste trasmesse all’Associazione Italiana Editori. I dati sono consultabili a video ed è anche possibile stampare le adozioni dei libri di testo di una scuola, identificandola da un form di ricerca”.
Ma evidentemente la responsabilità di un grande e permanente dibattito pubblico sui libri di testo non spetta all’Aie, la quale nel proprio sito mette in guardia energicamente da quello che ritiene un utilizzo improprio delle proprie banche dati.
Dovrebbe a mio parere essere il ministero, tramite gli uffici provinciali e regionali, il promotore di un lavoro permanente di illuminazione dei libri di testo, del loro utilizzo e dei risultati. Un lavoro a più voci, sia quelle dei grandi intellettuali, dei docenti universitari, delle riviste specializzate, sia quelle degli utilizzatori diretti, insegnanti alunni e genitori. La pubblicazione, provincia per provincia, dei primi tre testi più adottati per ogni annualità e singola disciplina (non voglio escludere prospetti più ampi ma amo semplificare almeno inizialmente) lancerebbe potentemente la partecipazione e la consapevolezza, anche degli studenti, circa l’uso del libro di testo.
Un dibattito vero, sereno, amichevole, non fazioso, da correlare con altre attività, come quella dell’Invalsi, inerenti la precisazione e la rimessa a punto permanente del discorso sui contenuti e sulla valutazione.
Se non avverrà questo, a dirigere le scuole non sarà né il centralismo ministeriale né la presunta autonomia scolastica, che non sorretta e stimolata dal centro o non nasce o affonda. Saranno forse( in parte lo sono già) le grandi ed articolate redazioni della grande editoria, dei grandi giornali, veri e propri partiti politici e potentissimi luoghi di direzione culturale del paese a cui tutti si sottomettono o per amore o per paura. L’avvento massiccio del quotidiano in classe e la sua crescente diffusione sono un segno di questa tendenza.