“Profe, non so se lei ha in mente ma, in India, ci sono le mucche sacre. Sono bianche e sono talmente segno di Dio che non si possono neanche toccare. Ecco, secondo me Dante, quando dice che Beatrice compare ‘vestita di colore bianchissimo’ vuol dire questo: che è sacra“.
Questa risposta, data da un alunno indiano di terza Operatore Elettrico, è solo una delle impensabili sorprese riservateci da qualche lezione sulla Vita Nuova di Dante Alighieri.
L’idea è nata e si è sviluppata per approssimazioni successive. All’inizio, si pensava di inserire nel percorso di terza almeno il primo canto della Commedia. Poi, confrontandosi con altri docenti, ci si è accorti che era indispensabile cominciare con La Vita Nuova; discorrendo con una studentessa universitaria appassionata di Dante, viene l’idea di cominciare facendo tenere a lei una lezione su questo testo.
Addentrandoci nella lettura, si pongono ai ragazzi continue domande, per vedere se riescono a seguire. Ogni loro risposta, reazione, è preziosa per noi: tutto può essere un punto di partenza per capire di più. Così, l’inaspettata risposta dell’alunno indiano; così, un’altra domanda di un suo connazionale. Si stava spiegando la poesia della loda: Dante, ad un certo punto, si accorge che, anche se Beatrice gli ha tolto il saluto, quando lui la vede vivere lei gli cambia ancora il cuore, forse anche più di prima. Harnek salta su: “Ma questo qui, che cazzo ha visto?!“: ancora adesso, mi chiedo se potesse esserci domanda più intelligente.
Alla fine dell’ora, si avvicina un ragazzo: “Comunque, questa storia di Dante mi è proprio piaciuta. È una bella storia“. Obietto che, avendo Beatrice appena tolto il saluto a Dante, non sembra proprio “una bella storia”. “No profe, lei non può dire così. Le cose che ci ha detto, che lui scrive dopo che lei gli ha tolto il saluto, sono così belle che non può dire che finisce male“; gli faccio notare che non è da tutti dire una cosa del genere, ma lui ribatte ancora: “Va bene, profe, peccato che cose come quelle che racconta Dante accadono veramente“.
Mi ricorda un alunno di prima che, alla traccia di un tema che cominciava con “È possibile…”, rispondeva concludendo il suo racconto con queste parole: “È possibile, perché a me è successo”.
Shakespeare scrive che “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. La loro concretezza di alunni così, tecnici, “operatori”, come vengono qualificati, priva di concettualizzazioni, di sicuro priva di qualsivoglia filosofia, è per noi studiosi, laureati, una risorsa della quale occorre accorgersi.
Con loro si può parlare solo di fatti; poco gli interessa cosa si possa “pensare sopra” di essi; quel che vogliono è vedere, con i loro occhi, che cosa può veramente accadere nella vita dell’uomo. E, poi, capirlo. Per questo amano tanto la storia e insistono, ogni volta che si legge qualcosa, col chiedere: ma è successo veramente? Recentemente, in seconda, abbiamo guardato il film Joyeux Noel: era talmente forte la loro obiezione che fosse tutta un’invenzione, perché “in guerra è impossibile”, che ho dovuto portargli un libro di testimonianze che dimostra che quel che hanno visto è un fatto reale. Dopodiché, in tre (per la prima volta mi succede tra elettricisti) mi hanno chiesto i dati per prenderlo in biblioteca.
La storia di Dante è una storia vera, di un ragazzo come loro. Così, gli hanno dato credito, hanno posto delle domande e, senza nemmeno accorgersene, hanno paragonato questa vicenda con la loro. “La cosa che mi ha colpito di questa storia è che anche a me sono capitate certe cose di questa storia. A diciassette anni l’ho vista per la prima volta insieme ad una mia amica. Siamo usciti a fare un giro. Mentre stava seduta sulla panchina con il suo cellulare rosa. La guardai negli occhi per la prima volta. Era bella, bellissima ma non ero così attratto al momento. […] Dopo un po’ di tempo inizia ad attrarmi. Mi stavo innamorando di lei, la cercavo in ogni cosa che vedevo. Poi ho fatto una cosa simile a Dante. Per non farglielo sapere, un giorno le ho detto che ero innamorato di una donna, che in realtà era lei, ma non lo sapeva! Lei forse era rimasta male però mi ascoltava sempre. Gli ho detto tutti i miei sentimenti verso questa donna. Lei iniziò a staccarsi da me“.
Ma si è andati ben oltre: dialogando con Dante, alcuni studenti hanno potuto dare un nome a quello che era già accaduto nella loro vita, ma non era ancora stato capito. Per questo mi permetto di riportare un ampio estratto di un altro tema: come avrebbe potuto scriverlo, senza un incontro così?
L’antefatto è: lei gli ha detto che “è solo un amico”. “Già, ci rimasi male. Non dissi nulla, ma nei giorni successivi stavo malissimo. Restammo amici, continuai a frequentarla anche nei mesi seguenti. Io soffrivo molto, avrei voluto lasciar semplicemente perdere e continuare per la mia strada, ma sentivo che era sbagliato, non potevo. Mancava qualcosa: non le avevo detto nulla oltre al fatto che ci ero rimasto male. Non sapevo cosa fare: lei me per era diversa dalla altre persone che conoscevo. Il tempo passò, ma era sempre nella stessa situazione. Dopo decine di poesie che scrivevo e tenevo per me, dopo centinaia di ore passate a pensare a lei, decisi che dovevo fare una cosa. Andai da lei e dissi: ‘Devo dirti una cosa, 5 minuti’. Lei rispose: ‘Va bene!’. Andammo in un posto dove potevamo stare da soli. Un corridoio della scuola dove non passava nessuno. Eravamo in piedi, uno davanti all’altro“.
“Parlammo un po’ per calmarmi, dopo poco decisi che dovevo arrivare al punto. ‘Quello che volevo dirti è che tu per me non sei solo una ragazza per cui ho preso una cotta, da quando ti ho conosciuta mi hai cambiato: prima ero una persona chiusa e fredda, tenevo tutti i miei sentimenti e le mie emozioni dentro di me, congelate nel mio cuore. Ora mi sono accorto che lasciar andare quello che si prova è meraviglioso. Io credevo che l’amore fosse vero solo nelle favole; poi ho visto la tua faccia’. Lei rimase in silenzio per qualche secondo, dopo un po’ aggiunsi: ‘Hai qualcosa da dire?’. Lei iniziò a dire qualcosa ma non ci riuscì poi, balbettando, disse: ‘[…] Prima di tutto grazie perché nessuno mi aveva mai detto queste cose. Però io il ragazzo non lo voglio in questo momento, mi dispiace’. Mi abbracciò ancora e mi ribadì che non voleva perdere la mia amicizia. Non soffrii, non ci rimasi male. Ero più che felice che mai, anche se il mio amore non era corrisposto era qualcosa di meraviglioso e io gliel’avevo detto. Ora riesco a lasciar andare i miei sentimenti per le persone e siamo ancora amici. Grazie…“.
Questo tema dedicava due pagine a raccontare l’intervallo in cui lui l’aveva conosciuta: descriveva il tempo, le persone che c’erano, le frasi che si erano detti, fino alla “rampa di scale che porta al piano superiore” dove il suo amico gliel’ha presentata. Stavo per scrivere, nella valutazione, che questa parte era un po’ troppo lunga e sproporzionata rispetto al resto. Poi, dopo numerose riletture, ho capito. Non aveva sbagliato: con Dante, aveva capito che, per ciò che aveva scoperto, quell’intervallo era un punto di non ritorno per la sua giovane vita; un fatto successo veramente, in “una tiepida mattina di settembre”.