1. Lo schema di decreto è stato presentato ai sindacati della scuola lo scorso 8 aprile. In questi giorni se ne prepara la pubblicazione e, pare, addirittura già la scrittura delle Linee Guida attuative.
Ma la bozza di decreto interministeriale (Istruzione, Finanze, Politiche sociali e Lavoro) fatta conoscere dai sindacati e concernente il “programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016“, programma previsto dalla Legge 128/2013 di conversione del D.L. 104/13 (art. 8 bis comma 2), è purtroppo l’ennesima delusione in un contesto di vita di un ministero che, fin’ora, non mostra alcuna intervento utile alle scuole. E questo, paradossalmente, nonostante tante dichiarazioni interessanti e innovative dell’attuale ministro.
A onor del vero, un altro tristo provvedimento si affaccia alle scene, venendo da settembre a cambiare la vita delle classi prime degli istituti tecnici e professionali: l’aumento di un’ora di lezione e di una materia (geografia). Con tutte le conseguenze negative che giungeranno ai nostri studenti. Ma questa è altra storia.
2. Torniamo, invece, al nostro schema di decreto, che “contempla la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica“. In particolare ci si occupa: della tipologia e requisiti delle imprese che potranno partecipare al programma; del contenuto delle convenzioni tra le istituzioni scolastiche e le imprese; dei diritti degli studenti (e i doveri?); dell’organizzazione didattica dei percorsi (si fa per dire…); dei tutor scolastici ed aziendali; della certificazione e riconoscimento dei crediti formativi acquisiti dal periodo di apprendistato.
Quante volte su queste pagine si sono già descritte le urgenze che la scuola italiana, ma soprattutto i giovani e le imprese, hanno di ritrovare un ragionevole rapporto tra formazione e lavoro. Sono in gioco l’utilità e l’attrattiva stessa della scuola sui giovani, le opportunità occupazionali, la preparazione professionale e culturale adeguata ai cambiamenti.
Eppure il testo sembra scritto da chi non conosce pressoché nulla di come stiano realmente le cose nelle scuole e nelle aziende. Gli ultimi monitoraggi sullo stato dell’attività di alternanza scuola-lavoro, da parte di quella che fu un tempo la direzione per l’Istruzione tecnica e professionale, ora abolita da una solerte burocrazia, già ne mostravano l’estrema debolezza.
Chi ogni anno in questi istituti tenta di far vivere agli studenti esperienze vere di lavoro, sa bene quante e quali difficoltà (spesso insormontabili) si incontrano. Per non parlare poi delle delusioni che ci si porta a casa quando si vanno a conoscere come le cose funzionano, non dico, in Germania (troppo bello!), ma almeno in Francia, Portogallo, Danimarca, Olanda, per limitarsi all’ovest dell’Europa.
3. Il nostro bel decreto aggiunge a questa precarietà nuovi e più insormontabili ostacoli.
A) Non si dice nulla sulle necessarie coerenze tra curricolo scolastico e percorsi sperimentali. Questi sostituiranno le attività laboratoriali di scuola? Che relazione avranno con le attività di Alternanza Scuola-Lavoro (addirittura ogni riferimento alle norme è assente persino in premessa), visto che quanto si sviluppa nel testo dovrebbe appunto riguardare l’ampliamento dei rapporti scuola-lavoro? Di queste attività non se ne parla più, al punto che vien da pensare che sia sparita dal curricolo formativo degli Istituti del secondo ciclo, dove è prevista.
B) Balzano all’occhio diverse incongruenze rispetto agli attuali ordinamenti del secondo ciclo, dove, ad esempio, i Regolamenti di riordino dei tecnici e professionali prevedono l’utilizzo delle quote di flessibilità finalizzate esclusivamente all’attivazione di opzioni nazionali, come ulteriori articolazioni delle aree di indirizzo, di competenza delle singole istituzioni scolastiche, ma individuate in appositi repertori nazionali (D.I. 24/04/2012 e D.I. 7/10/2013). Quindi questi Regolamenti e le Linee guida impediscono l’utilizzo da parte delle scuole degli spazi di flessibilità.
C) Nulla viene detto, nonostante lo preveda il comma 2 dell’art. 8bis della legge di riferimento, sul numero minimo di attività curricolari che lo studente deve seguire. Quindi uno studente di un istituto tecnico o professionale potrebbe andare, durante l’anno scolastico, in contratto di apprendistato anche per 5 o 6 mesi? − tant’è vero che nel testo non si comprende in alcun modo la relazione tra il progetto sperimentale e l’organico di scuola, che quindi potrebe cambiare?
D) La scelta degli studenti ed il numero di ragazzi che intendono iscriversi ai Programmi è assolutamente vaga: non vi alcun riferimento alla classe, elemento indispensabile per il superamento delle complicate problematiche organizzative e didattiche, compreso lo svolgimento dell’esame di Stato.
F) Si prevede addirittura la doppia figura dello studente e dell’apprendista, quando è chiaro il divieto nei contratti di apprendistato che l’apprendista frequenti corsi di studio a ordinamento secondario. Addirittura non si vede una chiara relazione con le norme sull’apprendistato che prevedono che possano essere assunti con tale contratto di terzo livello giovani tra i diciotto e i ventinove anni, mentre si sa che nelle classi quarte accedono anche studenti che hanno 17 anni.
G) La valutazione delle competenze viene effettuata dall’azienda. Il tutor aziendale ha il compito di valutare le competenze acquisite dall’apprendista sul posto di lavoro ai fini della loro certificazione, sentito il parere del tutor scolastico. Ma che relazione può avere una tale valutazione con quella dell’alunno al termine dell’anno scolatico? Chiameremo il tutor aziendale in sede di scrutinio? Come è possibile che la certificazione delle competenze venga effettuata al di fuori di un complessivo percorso scolastico? E come la mettiamo con i casi deboli, con i diversamente abili? Solo la titolarità dell’istituzione scolastica nella certificazione rende plausibile la valutazione del percorso in apprendistato nel complesso di un percorso scolastico e formativo.
H) Si vanno ad aumentare considerevolmente le difficoltà alle aziende (vincoli, obblighi, prescrizioni, documenti, titoli di studio), senza dare nulla in cambio. Non esiste sistema scuola-lavoro in Europa senza un reciproco scambio previsto dalle norme. Evidentemente qualcuno pensa che siamo circondati da un grande sistema di “volontariato economico” ed, ovviamente, in un tempo di ricchezza e successo economico!
I) Aumenta il centralismo statale, poiché addirittura tre ministeri dovranno “stipulare” il “protocollo di intesa con le aziende” (per tutte quelle d’Italia?), mettendo dietro la lavagna, non dico, le Regioni, ma le istituzioni scolastiche autonome (a proposito: chi si ricorda ancora di questa parola?). Tra l’altro la dimenticanza del ruolo delle Regioni rischia fortemente che queste impugnino la legittimità dell’intero provvedimento;
L) Dulcis in fundo: si ribadisce ad ogni rigo il “senza oneri per la finanza pubblica“. È pur vero che i fondi per le attività di alternanza scuola-lavoro in soli quattro anni sono stati ridotti del 70%, ma pur qualcosa è rimasto. Ma la bozza di decreto parla chiaro: per imparare in azienda “non devono derivare oneri per la finanza pubblica”! Appunto, facendo appello ad un grande e vasto sistema di volontariato sociale.
4. Alla fine del ministero Profumo pareva addirittura avviata la possibilità (come già accaduto da due anni in Spagna dove la legge è stata fatta) di studiare ed attuare qualcosa di simile al modello duale del sistema tedesco. Troppa grazia Sant’Antonio! Infatti il “pericolo” di quella grande novità è stato “scongiurato” con un opportuno oblio nel ministeri seguenti…
Nel frattempo la disoccupazione giovanile cresce e le aziende lamentano qualifiche e competenze sempre più assenti.
Si farà in tempo a riscrivere lo schema di decreto? Si chiamerà in causa la scuola reale? Qualcuno avrà il coraggio di guardare “le cose come sono”? C’è solo da sperarlo, se a qualcuno stanno veramente a cuore giovani e lavoro.