SCUOLA/ Paritarie e Imu, cosa c’è (e cosa no) nelle istruzioni del Mef

- Damiano Zazzeron

Nei giorni scorsi è stato approvato il modello per la dichiarazione Imu degli enti non comm.li. Ricadute positive sulle scuole, di cui si riconosce la pubblica utilità. DAMIANO ZAZZERON

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Nei giorni scorsi è stato approvato il modello per la dichiarazione Imu degli enti non commerciali. Di per sé l’ennesimo adempimento richiesto ai contribuenti che certo non meriterebbe uno specifico intervento su questo quotidiano. Sennonché le istruzioni che accompagnano questo modello contengono importanti ed insperate aperture per l’esenzione dall’Imu degli immobili relativi alle attività educative e socio sanitarie degli enti non commerciali. 

La positiva sorpresa deve in realtà essere messa in relazione al provvedimento del governo Monti emanato nel 2012, che  ai più era sembrato chiudere definitivamente gli spazi di tale agevolazione per rispondere alle richieste dell’Unione Europea.

Ma facciamo un passo indietro per ricostruire la storia di questa importante disposizione agevolativa per il mondo non profit.

Gli immobili detenuti ed utilizzati dagli enti non commerciali per le attività d’assistenza, previdenziali, sanitarie, di ricerca  scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e religiose hanno goduto, negli anni passati, dell’esenzione Ici e Imu, in virtù della previsione contenuta nell’articolo 7, lettera i) del Dlgs 504/1992 (decreto Ici), espressamente richiamata anche dalla legge Imu.

Tuttavia, come molti ricorderanno per la rilevanza data dai media (soprattutto con riferimento agli immobili della Chiesa cattolica), nel 2012 il governo Monti, per evitare l’avvio di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea, adottò un provvedimento che limitò la predetta esenzione ai soli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento delle citate attività con modalità non commerciali.

Con riferimento all’attività scolastica, un successivo regolamento ha stabilito che tra le condizioni affinché l’esercizio di attività didattica possa intendersi svolto con modalità non commerciali è necessario che la stessa sia “svolta a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente la frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell’assenza di relazione con lo stesso“.

La richiesta di una retta simbolica ha naturalmente allarmato i gestori delle scuole di ogni ordine e grado, perché ad una prima interpretazione letterale sembrava portare ad una sostanziale esclusione del sistema scolastico dal regime di esenzione Imu. Molti hanno temuto il palesarsi dell’ennesima beffa per queste realtà che si trovano a fronteggiare una costante diminuzione dei contributi da parte dell’amministrazione statale e a dover richiedere, di contro, una sempre maggiore partecipazione economica da parte delle famiglie di alunni e studenti.

In questo contesto è stata accolto con grande sollievo dalle istituzione scolastiche non profit il chiarimento del ministero dell’Economia, contenuto appunto nelle istruzioni alla Dichiarazione Imu degli enti non commerciali emanate negli scorsi giorni. In tale documento, infatti, è stato precisato che, nell’ambito didattico, l’esenzione dall’Imu spetta nel caso in cui il corrispettivo medio percepito dall’ente non commerciale risulti inferiore al costo medio per studente pubblicato dal ministero dell’Istruzione (euro 5.739,17 per la scuola dell’infanzia, euro 6.634,15 per la scuola primaria, euro 6.835,85 per l’istruzione secondaria di primo grado ed euro 6.914,31 per l’istruzione secondaria di secondo grado).

In un confronto, che paragona le rette mediamente praticate al costo complessivo del sistema scolastico, le prime risultano quasi sempre più basse.

Quest’ultimo intervento ministeriale va valutato con estremo favore per almeno tre ordini di motivi.

1. Viene riconosciuto il valore sociale e di pubblica utilità delle attività scolastiche gestite dagli enti non profit con costi spesso assai inferiori a quelli del sistema scolastico pubblico,

2. vengono finalmente dati parametri certi ed oggettivi per valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’agevolazione, ponendo fine ad anni di incertezza dovuta a disposizioni normative letteralmente incomprensibili;

3. viene finalmente riconosciuto che la natura non profit di un’attività (e quindi di un ente) non può essere ricondotta esclusivamente alla modalità con cui essa viene svolta (assenza di corrispettivi) ma deve esser valutata in relazione alla natura stessa dell’attività  ed all’assenza di un lucro soggettivo.  

Dunque tutto bene? Quasi. Pur con un giudizio complessivamente positivo non possiamo non rilevare che da tale disposizione agevolativa, che riguarda il mondo non profit, rimangono escluse le cooperative sociali. Questo fatto appare quanto meno anomalo in quanto è ormai pacifico che tali soggetti appartengono a tutti gli effetti a questo mondo. Non a caso, infatti, tutte le principali disposizioni agevolative riguardanti il settore non profit (il cinque per mille, la “più dai meno versi”, l’esenzione in alcune regioni dell’Irap) vedono le cooperative sociali tra i soggetti beneficiari.

Una dimenticanza presente già nella legge istitutiva dell’Ici a cui è giunto ormai il momento di porre rimedio.







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