Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato dell’Università di Parma, scopritore dei neuroni specchio, è intervenuto ieri di fronte agli 800 studenti partecipanti alle Romanae disputationes 2015, concorso di filosofia dedicato quest’anno al tema della libertà. Rizzolatti rievoca la sua formazione e il senso della sua ricerca su una delle più importanti acquisizioni della ricerca neurologica degli ultimi anni. Un tema che si incontra con la domanda di senso che proviene dalla filosofia. Ma la neurologia, spiega Rizzolatti, non potrà mai soppiantare la filosofia, che “è molto più precisa della scienza”.
Professore, ci può raccontare brevemente la sua storia?
Io sono nato nell’Unione Sovietica perché la mia famiglia, friulana, è emigrata in Russia alla fine dell’Ottocento. I russi non sapevano lavorare il marmo e mio nonno, invece, era un bravo marmista. Con la rivoluzione del 1917, gran parte dei beni venne nazionalizzata, ma — siccome era cittadino italiano — in parte rimase di sua proprietà. Alla fine del 1937, i miei vennero espulsi — devo dire per fortuna, considerato poi cosa è successo in Russia — e ritornarono in Italia. Io cominciai gli studi a Udine, poi l’università a Padova. Siccome sia mio papà sia mia mamma erano medici, avevo già deciso di fare medicina ancora quando ero ragazzo. Studiando al liceo, mi piacque molto la filosofia e decisi di fare neurologia che era la cosa più vicina.
Come è diventato uno scienziato?
Per diventare scienziati bisogna avere una scuola, perché non si può essere autodidatti. Gli anni trascorsi a Pisa da Moruzzi furono molto formativi perché in quel tempo a Pisa c’era un’atmosfera particolare. Moruzzi creò un centro con l’idea era la scienza fosse il culmine dell’attività dello spirito, usando termini hegeliani: lo spirito si manifesta soprattutto nella scienza. Per questo, noi ci sentivamo, non dico come dei sacerdoti, ma consapevoli di fare qualcosa di molto importante. Per dei giovani era veramente molto stimolante. Inoltre, lì arrivavano premi Nobel e persone molto importanti che venivano per vederci all’opera nel laboratorio, e potevamo discutere con loro.
E a Parma?
Stati anni difficili. a Parma non c’era la ricchezza di Pisa, ma il mio nuovo professore, il professore Arduini, era una persona molto generosa e mi aiutò moltissimo a creare un laboratorio mio. Siamo riusciti a selezionare delle persone di alto valore che sono diventate famose, ad esempio per la scoperta dei neuroni specchio, come Galese, Fadica, Fogassi, e altri ancora. Adesso siamo circa quaranta persone.
Lei ha detto che ha scelto neurologia perché interessato alla medicina ma anche alla filosofia. In che senso, come c’è stata questa alternanza tra la medicina, la neurologia e la filosofia?
Ai miei tempi, soprattutto a Padova — dove c’erano dei professori in gamba — quando studiavamo neurologia ci facevano leggere anche testi filosofici, come quelli di Husserl e di Merleau Ponty. Quindi, non è tutta la filosofia che ci interessava, ma ci interessava quella parte della filosofia che è vicina alla neurologia, che ci dice come possiamo capire gli altri, quanto vale l’esperienza, quanto vale invece quello che hai dentro di te, determinato geneticamente. Non siamo filosofi di professione, ma certi spunti della filosofia erano molto interessanti.
Quindi i confini tra la ricerca scientifica e quella filosofica, per lei, erano…?
Erano ben determinati. Non mi interessavo alla filosofia analitica, non tornavo a leggere San Tommaso. Ci interessava la fenomenologia perché era la più vicina alla psichiatria o alla neurologia.
Pensa che la neurologia abbia soppiantato o possa soppiantare la filosofia?
No, perché l’approccio è diverso. Noi andiamo molto più per approssimazione. Il filosofo cerca di vedere le cose in modo raffinato, trova subito l’errore, dice che non è del tutto convincente, che gli manca questa prova…
Quindi, paradossalmente potrebbe sostenere che la filosofia è meno vaga della scienza?
E’ molto più precisa della scienza. E vero che i dati della scienza sono incontrovertibili. Ma il filosofo è molto utile per trovare quali sono i punti deboli nella speculazione successiva ai dati. I dati sono dati, però poi si devono interpretare. Cosa significano? Cosa portano di nuovo come conoscenza? E’ su questo qualcosa di nuovo che il filosofo ti critica e ti mette in discussione, mette in dubbio certe cose, ed è molto utile.
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L’intervista completa verrà inserita nel Quaderno della Ricerca (Loescher) del prossimo giugno, che raccoglierà gli atti delle Romanae Disputationes 2015.