Sono passati oltre quindici anni da quando nelle scuole il preside o direttore didattico ha cambiato nome diventando “dirigente scolastico” (D. Lgs. 59/97). Dai tempi della Bassanini non è cambiata solo la targhetta sulla porta, ma si sono moltiplicate le funzioni: il dirigente scolastico ha assunto titolarità di relazione sindacale, può stipulare contratti, assumere personale, ha poteri disciplinari, responsabilità in ordine alla sicurezza, eccetera. Alla radice di tutto il cambiamento sta la nuova fisionomia giuridica delle scuole che, diventando istituzioni autonome, esigono figure di legale rappresentanza, veri e propri responsabili di gestione in prospettiva dei risultati attesi. Di autonomia scolastica si parla sempre come qualcosa che deve crescere e nessuno, almeno a parole, discute di un ritorno al passato con scuole governate centralmente dallo Stato padrone.
Oggi però proprio sulla questione del dirigente scolastico figlio dell’autonomia, complice un sistema di veti sindacali contrapposti, il Parlamento rischia di rimanere impantanato in un guado di indecisione, nel momento in cui discute di riforma della pubblica amministrazione: il tema è quello del riconoscimento ai dirigenti scolastici un ruolo equiparabile a quello dei dirigenti statali tout court. Nel testo del disegno di legge n. 1577 (cosiddetto “Madia”) infatti si legge, all’art. 10, che la dirigenza scolastica è esclusa dall’inserimento nei “ruoli unici” previsti dallo stesso disegno di legge per tutti i dirigenti statali. Si rischia così di creare un limbo di indeterminatezza su cosa sia il dirigente scolastico con conseguenze anche gravi sul già tentennante processo di consolidamento dell’autonomia scolastica.
Una opportuna iniziativa, promossa unitariamente delle associazioni professionali dei dirigenti scolastici Andis e Disal, prova a riaprire la questione avanzando proposte emendative al disegno Madia.
Una lettera con l’articolato degli emendamenti è stata inviata ai ministri competenti, ai parlamentari, ai sindacati e alle associazioni professionali. In particolare si chiede che dal 1577 sia cancellata l’esclusione della dirigenza scolastica dal processo complessivo di riordino e che i dirigenti scolastici siano inquadrati nel sistema della dirigenza pubblica “in ruoli unificati, coordinati e specifici”, ovvero coordinati e distinti per specifiche professionalità e specializzazioni.
Se da una parte è infondato discutere se la dirigenza scolastica sia o no una dirigenza pubblica a tutti gli effetti, dall’altra sarebbe semplificatorio e altrettanto fuorviante dimenticare le specificità che caratterizzano le competenze di chi guida una scuola. Faccio da otto anni il dirigente scolastico, dopo aver fatto per il triplo di tempo l’insegnante; se penso alle mie giornate lavorative vedo chiaramente che alcune funzioni esercitate sono assimilabili a quelle di ogni altro dirigente pubblico (quando ad es. siedo al tavolo di contrattazione con le Rsu), mentre altre sono difficilmente intercambiabili con quelle di un collega di un altro ufficio amministrativo. Quando comunico la sanzione disciplinare a uno studente oppure incontro un genitore che vuol cambiare indirizzo di studi al figlio o coordino un gruppo di docenti impegnati nella revisione del curricolo, è chiaro che faccio qualcosa in cui la competenza didattica e la capacità di lettura dei processi educativi non è secondaria né tantomeno residuale.
Sarebbe un errore, a danno della scuola italiana, pensare a una futura interscambiabilità tra dirigente del demanio o dei monopoli e della scuola; ma altrettanto errato sarebbe fermare il necessario processo di miglioramento delle scuole, privandole di figure a cui è attribuita una chiara fisionomia dirigenziale, stabilita anche in termini di inquadramento normativo. Ciò suona ancor più stonato nel momento storico in cui si propone il varo di un sistema di valutazione delle scuole in cui è prevista la valutazione del dirigente e quindi si ribadisce centralità di ruolo e responsabilità gestionale complessa a chi un tempo era solo “primus inter pares” della funzione docente.
Nel momento in cui si ridefiniscono ruoli, compiti e responsabilità delle dirigenze pubbliche dire che per i dirigenti scolastici sono “esclusi” da tale ridefinizione, come fa l’art. 10 del “disegno Madia”, significa creare un pericoloso vuoto normativo e assecondare una stucchevole logica di rinvio. Il che non rende un servizio alla “buona scuola”.