Skuola.net ha riaperto la lotteria della prima prova scritta dell’esame di Stato, il tormentone che si ripete ogni anno e che cerca di indovinare le tracce che il ministero propone per la prova di italiano. Quest’anno la previsione si è spostata sulle ricorrenze, e si va dal compleanno di Dante ai cento anni della relatività o dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale ai 10 anni di YouTube o della morte di Giovanni Paolo II, naturalmente dimenticandosi di una delle ricorrenze più scomode di questo 2015, ossia dei cento anni dal 24 aprile 1915, giorno in cui è iniziato il genocidio degli armeni.
Previsioni più che legittime, ma che lasciano il tempo che trovano; sarebbe invece più interessante fare una riflessione su questa spasmodica ricerca del titolo delle tracce che saranno proposte alla maturità. C’è da chiedersi da dove venga questa smania di sapere i titoli dei vari saggi brevi o articoli di giornale, e purtroppo la risposta è abbastanza facile: viene dalla convinzione, diffusa sia tra gli insegnanti sia tra gli studenti, che se si conosce l’argomento si sa che cosa metterci dentro e dove andare a cercare le informazioni che necessitano per svolgerlo.
Basta così fare un giro nella rete o andare su Wikipedia per avere già svolta la prima prova e non è poco, visto che ci si gioca ben 15 punti dei cento a disposizione. In questi anni è questa mentalità che ho preso di mira con grande determinazione e senza cedimenti, e non perché ho voluto essere “serioso” con gli impegni scolastici, ma perché ho visto che è un altro il metodo più efficace ed incisivo: quello di insegnare ai giovani sfidandoli a giudicare, a far sì che su ogni spunto emergesse un affronto critico. In questo senso ho spesso utilizzato un sistema di laboratorio dentro il normale svolgimento delle mie discipline, la storia e la filosofia, dove per laboratorio io intendo la produzione di lavori di cui ogni studente si rende responsabile e attraverso il quale approfondisce gli argomenti della didattica quotidiana.
Apparentemente questo lavoro sembra e viene giudicato una perdita di tempo: “con tutto quello che si ha da sapere”, si obietta, “fermarsi a mettere in comune riflessioni personali, che senso ha?”. Invece è questo lavoro che ho visto incidere e diventare metodo della didattica quotidiana.
Due sono le ragioni che mi portano a dire che è attraverso modalità di questo tipo che gli studenti si preparano agli esami di Stato, e non andando a indovinare i titoli dei temi di maturità. La prima ragione è che uno studente impara a confrontarsi con tutto, trova in ogni argomento degli spunti di interesse e così impara a ragionare su ogni cosa. Questo elimina la paura, che un ragazzo diventi certo della sua ragione, che avendo imparato ad usarla si appresta all’esame con la voglia di mettersi alla prova, certo che l’esame sarà per lui un’occasione.
La seconda ragione è quella del valore della comunicazione. Parlare con i compagni, confrontarsi con loro, raccontar loro le proprie esperienze è decisivo per imparare a comunicare. Proprio in questi mesi ho visto con i miei occhi e sono rimasto sorpreso da come alcuni studenti che avevano partecipato in questi anni ad un pellegrinaggio a Mauthausen, chiamati a parlarne agli studenti delle medie e di quinta elementare sono stati all’altezza della situazione, dimostrando una capacità ed una padronanza che non avrei immaginato. Questo dimostra una cosa semplice, che quando si ha un’esperienza da raccontare, raccontandola si impara!
Queste semplici esperienze mi fanno dire che il problema della prova scritta di italiano è imparare a giudicare tutto, è trovare dentro il cuore e la ragione l’energia e i criteri per affrontare ogni tematica che si incontri. Più che tentando di indovinare l’argomento per munirsi di informazioni, uno studente si prepara all’esame giudicando il suo oggi, diventando certo delle proprie ragioni e verificandole di fronte ad ogni sfida. Un giovane oggi deve andare all’esame certo che può affrontare tutto, che qualsiasi argomento gli propongano lui lo saprà affrontare.
Pertanto il vero punto di discrimine dell’esame di Stato è che a contare non sono le informazioni che si hanno — tanto non bastano mai! — ma l’allenamento a giudicare. Per questo, più che a tentare di indovinare gli argomenti delle tracce, sarebbe più utile che gli studenti facessero due cose che oggi di fatto non si fanno: in primo luogo aprire gli occhi sul mondo, individuando per quali ragioni ciò che accade li riguarda e tentando di giudicarlo; in secondo luogo, in una scuola che chiede loro analisi su analisi, lanciarsi in un lavoro critico e di sintesi, un lavoro in cui diventare protagonisti, attori di una valutazione personale.
In tanti anni ho avuto modo di vedere che studenti e studentesse che hanno fatto questo lavoro di esercizio quotidiano di giudizio, altro che “io speriamo che me la cavo”, hanno fatto di meglio, hanno vissuto la prova scritta di italiano come occasione per parlare di sé. E questo è il massimo. Quindi una semplice e conclusiva osservazione. Se ogni studente imparasse semplicemente a giudicare, se divenisse certo che gli bastano cuore e ragione, sono sicuro che all’esame sfonderebbe, farebbe faville e sorprenderebbe se stesso e i suoi esaminatori. Basta quindi con le previsioni, e avanti tutta con un quotidiano lavoro di giudizio.