Una buona didattica liceale, specialmente in campo umanistico, farebbe bene a spalancare, là dove possibile, l’orizzonte mentale e culturale dei giovani, facendo vedere loro che il particolare preso in esame si colloca all’interno di un contesto più ampio. Sollecitare il riconoscimento dei nessi esistenti tra parole, temi, epoche, autori e materie è un’attività sommamente formativa, perché irrobustisce la capacità di lettura del dato (ad esempio, un testo), portando a una maggiore conoscenza di esso e a una più acuta capacità critica. Ne ho avuto conferma leggendo il sesto canto della Divina Commedia.
Alla fine del canto Virgilio spiega a Dante che, dopo il Giudizio Universale, le anime riprenderanno il proprio corpo; così i beati proveranno più intensamente la gioia del paradiso, mentre i dannati soffriranno più atrocemente i tormenti infernali (VI, 94-111). Infatti, siccome il tutto è più perfetto della parte, così la totalità dell’uomo, composto di anima e corpo, è più completo della sola anima, ed è anche più capace di provare la gioia tanto dei sensi quanto dell’intelletto.
Ritengo questa convinzione estremamente attuale, proprio per un confronto con la nostra società nella quale il corpo è considerato, in varie forme, oggetto di consumo. Per questo motivo ho voluto sottoporre questo aspetto all’attenzione della mia classe. Innanzitutto ho osservato che il giudizio di Dante è contrario a una visione spiritualizzata dell’uomo, come oggi può essere in voga in una qualche versione new age; similmente, il mondo dei social network permette di intessere varie relazioni, dalle quali la presenza corporea può tranquillamente restare esclusa. Abbiamo poi considerato la concezione platonica del corpo come prigione dell’anima, argomento fresco di studio per quegli studenti: concezione nobile, profonda, e allo stesso tempo così diversa da quella cristiana. Per i cristiani, infatti, “il Verbo si è fatto carne”, e allora la fragilità e l’imperfezione della carne umana è preziosa, essendo il luogo nel quale Dio stesso agisce.
Io ci sono, non solo con la mia mente, ma anche, e innanzitutto, con il mio corpo: questo dato è quanto mai evidente per un insegnante — io davanti a loro, loro davanti a me. Siccome molti alunni di quella classe sono curiosi, e soprattutto leali verso il lavoro proposto, ho deciso di approfondire l’argomento, per aiutarli a vedere la tradizione alla quale partecipa Dante. Mi si sono subito affacciati alla mente i nomi di Michelangelo e Mozart, quali testimoni di quella cultura valorizzatrice dell’interezza della persona, anima e corpo. Così la lezione successiva abbiamo osservato qualche scena della Cappella Sistina assieme all’ascolto di due brani della Messa da Requiem.
Dante (1265-1321), Michelangelo (1475-1564), Mozart (1756-1791). Ho deliberatamente scelto di accostare autori di epoche ben distanti tra loro (circa due secoli l’uno dall’altro) e attivi in campi diversi, proprio per mostrare come una certa cultura, cioè un modo di considerare e giudicare la realtà, ha attraversato secoli e forme espressive, unificandole.
Fortunatamente, la classe aveva già studiato la Cappella Sistina con l’insegnante di arte; così ciascuno si è trovato a suo agio di fronte alla Creazione dell’uomo e al Giudizio Universale, messici a disposizione dalla splendida webcam del Vaticano. In particolare, oltre alla presenza di Caronte e Minosse, a noi noti dai primi canti dell’Inferno, abbiamo osservato la possanza del corpo michelangiolesco, l’enfasi posta sulla fisicità di quei corpi eterni.
Di Mozart abbiamo ascoltato il Dies irae e Lacrimosa dies illa (precisando, tra l’altro, che il testo del Requiem è attribuito a un autore medievale, Tommaso da Celano). Non so quasi nulla di musica, però ricordo bene quel che il mio insegnante al liceo faceva osservare: la veemenza del primo movimento; e la resa, musicalmente perfetta, della frase del movimento successivo: “Giorno di pianto quello in cui risorgerà tra le faville il colpevole, per essere giudicato”, dove la musica fa proprio sentire il rialzarsi del corpo.
Abbiamo poi osservato che, tanto le figure di Michelangelo quanto le note Mozart esprimono gli stessi elementi e le azioni delle parole di Dante: il ridestarsi delle anime, il “suon de l’angelica tromba”, quando “ciascun ripiglierà sua carne e sua figura”.
Non posso sapere quanto sia passato ai miei studenti di questa lezione. Però ho visto alcuni loro sguardi coinvolti nel guardare e nel riconoscere, tesi all’ascolto di una musica tanto insolita per molti. Soprattutto, sono certo di avere offerto loro un’ipotesi critica e unitaria di lettura di quanto abbiamo esaminato, indicando un criterio che, lezione dopo lezione, potrà portare i suoi frutti.