“La buona scuola è innanzitutto un’idea” ha scritto Galli della Loggia nel suo bell’articolo sul Corriere della Sera di ieri, 8 marzo. “Un’idea forte di partenza circa ciò a cui la scuola deve servire: cioè del tipo di cittadino — e vorrei dire di più — di persona che si vuol formare e dunque del paese che si vuole così contribuire a costruire”.
Galli della Loggia è impareggiabile nella descrizione dello stato di degrado della scuola e dei suoi “prodotti”. E’ anche suggestivo nell’invocazione di forti interventi capaci di capovolgere la situazione, ma la via che propone è più consueta di quanto lui stesso non pensi e ci condanna ad altri anni di avvitamento.
Il processo sarebbe il seguente: la scuola, con forze ed energie la cui origine non si vede, dovrebbe ricominciare a “produrre” persone vere, dotate di spessore umano e di personalità forti, ispirate ai valori tradizionali della grande letteratura. Poi, solo poi, verrà ricostruito il paese “non solo un luogo in cui si apprendono nozioni, bensì dove intorno ad alcuni orientamenti culturali di base si formano dei caratteri, delle personalità; dove si costruisce un atteggiamento complessivo nei confronti del mondo che attraverso il prisma di una miriade di soggettività costituirà poi il volto futuro della società. La scuola, infatti, è ciò che dopo un paio di decenni sarà il paese” eccetera.
La cosa singolare è che con queste parole GdL, pur animato da un radicale impegno innovatore, non si accorge di immergersi esattamente nel solco del pensiero dominante in Italia dal dopoguerra ad oggi; quel pensiero che non ha saputo resistere alle enormi spinte dello sviluppo ineguale del paese che hanno portato alla situazione attuale.
GdL inizia con un attacco al nozionismo, secolare, eterno respinto di tutti i programmi scolastici italiani e di tutte le loro filosofie, ma che si vendica della negligenza operata nei suoi confronti diventando la base del confronto mondiale sulla bontà dei sistemi scolastici.
Prosegue dando alla scuola il compito di formare le personalità forti, quelle che costituiranno poi il volto della società, e via dicendo. Ebbene, la storia del mondo, come anche la nostra, dicono che il processo è proprio inverso. I cataclismi sociali formano le personalità, le classi dirigenti, le volontà che poi costruiscono le scuole a loro necessarie.
Prendiamo i paesi socialisti dell’ex Unione Sovietica. Lì la scuola era tenuta in grande considerazione ed il livello medio di istruzione era molto elevato. Ma la sua incidenza rispetto allo sviluppo economico e civile non ebbe il carattere di avanguardia. In Cina per dieci anni le guardie rosse discussero sul tipo di uomo che doveva essere formato nelle scuole e nelle università e non vennero a capo di nulla. Solo il grande desiderio di progresso materiale di vertici e popolo ha spinto i dirigenti cinesi, con l’appoggio popolare, ad lanciare lo sviluppo economico liberalizzando l’economia e andando contro le tradizionali utopie scolastiche.
In Italia solo nel quadro del nazionalismo sabaudo (legge Casati) e di quello mussoliniano (Gentile) sono stati impiantati veri sistemi scolastici utili ed efficaci. Nel dopoguerra la scuola è diventata il luogo in cui minoranze politiche hanno cercato la rivincita cercando di farla diventare luogo di formazione dell’uomo alternativo e della società alternativa a quella vigente dipinta come inumana. E questa contrapposizione tra ambiente scolastico ed ambiente sociale ha caratterizzato profondamente gli ultimi 50 anni della scuola italiana portando (a cavallo della famosa spinta sindacale) a quel misto di utopismo culturale e di degrado organizzativo che ben conosciamo.
Dunque il vero problema nostro non è ritrovare le forze e la volontà per costruire nella scuola l’uomo nuovo (cosa per altro impossibile anche solo teoricamente) ma chiederci, per un verso, come mai non riusciamo a darci un progetto vero per l’Italia. Già il povero Padoa Schioppa arrivò alla conclusione che non si riusciva a scrivere questo progetto. E non è strano, perché da noi qualunque progetto nazionale ha sempre dovuto scontrarsi con le culture più diffuse e potenti del paese, quella cattolica e quella socialista che oggi convergono traboccando nel nuovo Pd con tutte le contraddizioni che vediamo.
Dall’altro lato, in attesa della nascita di un vero progetto nazionale — che a mio parere dovrebbe comprendere le macroregioni per intercettare positivamente le caratteristiche del paese — nella scuola dobbiamo accontentarci (si fa per dire) di innovazioni funzionali e di razionalizzazioni di portata media ma che richiedono comunque già sforzi titanici. Ad esempio, il concorso di istituto per l’assunzione dei docenti, l’esempio europeo negli indirizzi e nelle quantità didattiche, ed altri “piccoli” e non costosi traguardi sono da noi ancora impensabili. Basterebbe riuscire per ora a metterci mano per ridurre lo stato depressivo generale.