Ho cercato di leggere diligentemente tutto il documento ministeriale sull’aggiornamento obbligatorio permanente e strutturale degli insegnanti, ma confesso che non ce l’ho fatta. Verboso e prolisso al punto da apparire parodistico, grondante luoghi comuni e vieto lessico nuovista, richiederebbe, per una lettura completa, un tempo equivalente a quello necessario per la correzione di un pacco di compiti, o per la lettura di un buon libro, o per un mezzo corso di formazione di durata media. Mi dispiace, la vita è troppo breve…
E poi devo cercare di dimenticare alla svelta ciò che ho letto se voglio mettere insieme le energie per entrare in classe e rispondere a quelli che continuo a ritenere i miei interlocutori, vale a dire gli allievi. Devo dimenticare che il documento, proprio nelle prime battute, li definisce capitale umano, necessario per la crescita del paese: ma quando è stato modificato l’articolo della Costituzione che assegnava alla scuola il compito di rimuovere gli ostacoli per la piena realizzazione di ciascuno? Si dirà che l’una cosa implica l’altra, ma qui il verso dell’implicazione è cruciale, o sbaglio?
Devo anche dimenticare ineffabili locuzioni come “startup formative”, e poi l’incredibile qualunquismo con cui si promette gloria all’escogitazione di metodologie innovative. Così, innovative, e basta. Devo dimenticare in fretta anche che le sole discipline richiamate direttamente nelle pagine introduttive, le sole che sembrano dunque dotate di dignità intrinseca, sono le lingue straniere (inglese in cima, of course); per queste soltanto è prevista una formazione in senso stretto disciplinare; l’italiano viene preso in considerazione solo in quanto Lingua 2, per tutte le altre, evidentemente, quel che già si sa basta e avanza. Anche la formazione nelle lingue straniere, del resto, per quanto sbandierata come necessaria per tutti, financo per segretari e bidelli, viene poco sotto ristretta alle categorie che potranno utilmente spenderla nel Clil: esclusi di colpo tutti gli insegnanti di lettere, ad esempio.
Devo dimenticare anche una cosa che parrebbe, a prima vista, una contraddizione: qua e là ci si premura di ricordare che le scuole sono autonome, che decideranno quale formazione mettere in atto sulla base del Ptof; già, ma scegliendo all’interno di una lista di formatori accreditati dal Miur, e sulla base delle priorità del Miur: su questo verranno valutati gli autonomissimi dirigenti! E, si chiarisce, il legame sarà assicurato attraverso appositi marchingegni regionali e provinciali! Ora, non siamo obbligati a considerare l’autonomia un principio assoluto, però, se uno lo ribadisce, il principio…
Un’altra cosa voglio dimenticare alla svelta: il portfolio personale dell’insegnante. Vi ricordate Letizia Moratti? Disse che le era tanto piaciuto il portfolio personale dell’allievo, quando i suoi figli frequentavano una scuola britannica! Le era piaciuto tanto che volle proporlo per gli studenti italiani: una bella cartelletta che ti segue dall’asilo alla maggiore età, con i disegni più belli, i temi meglio riusciti, le ricerchine…
Alla fine, per gli studenti non si fece; così ora si farà per gli insegnanti. E giù a raccogliere diligentemente ogni certficatino, ogni prodottino, ogni scrittino, che possa far volume e far figura, per tutta la vita…. Già, ma chi la vita, professionale almeno, ce l’ha quasi tutta alle spalle? Avrà tenuto copia del suo lavoro per l’anno di straordinariato? Invidio gli ordinati che, oltre ai certificati di vaccinazione dei figli, alle bollette, alle dichiarazioni dei redditi e a tutto il restante ciarpame burocratico che ingombra le nostre case, si sono tenuti da parte anche l’attestato del corso di formazione seguito nel 1987… Non sono tra questi.
Riandando con la mente al passato, ricordo molti pomeriggi trascorsi a scuola con i colleghi a studiare riforme (quante!), a progettare sperimentazioni, a preparare griglie e prove; per dirne una, qualcuno ricorderà che cosa significò il nuovo esame di stato: nuove prove, nuove griglie, i criteri per l’attribuzione del neonato credito formativo; e poi l’autonomia: capirci qualcosa, pensare qualcosa, scoprire che non c’era quasi niente… Ma erano tempi strani, quelli: si lavorava senza incentivi, senza Fis, senza bonus, senza gerarchie, senza pagelle… Per farla breve: dopo trentacinque anni, il mio portfolio sarà molto più vuoto di quello di un neoassunto. Mi sento quasi giovane. Se chiudo gli occhi, mi si squaderna davanti un magnifico universo: migliaia di stelline — insegnanti che ruotano velocissime intorno ai dirigenti; gli autonomi dirigenti che ruotano veloci intorno agli Uffici sScolastici provinciali, che ruotano intorno agli Uffici scolastici regionali, che ruotano intorno al Miur, che tutti li mira immoto.