E’ l’ultimo regalo della gestione Giannini, poche ore prima di lasciare il Miur: decreto ministeriale 987/2016. Introduce le “lauree professionalizzanti”. Pensi a un “di più” di offerta del nostro sistema formativo, a qualcosa che prima non c’era e che ora dà una chance in più ai giovani. Niente di tutto questo: è un’iniziativa realmente dannosa, senza pensiero e senza progetto, spiega Alessandro Mele, direttore generale di Cometa, membro della cabina di regia degli Its.
Ci spieghi bene, direttore.
Con un blitz, a riflettori già spenti, la Giannini ha azzerato il dibattito sullo sviluppo armonico del sistema della formazione terziaria professionalizzante in Italia, già avviato nel 2016 tra Miur, Its, Crui e Governo. Una forzatura senza nessun confronto e senza nessuna responsabilità politica che rischia seriamente di compromettere la sopravvivenza del sistema Its.
Perché?
Perché mettiamo in crisi un’esperienza certa (e con risultati acquisiti) capace di offrire risposte flessibili e personalizzate, aderenti alle esigenze dinamiche e in continua evoluzione del mercato del lavoro, per un’alternativa tutta da costruire e che nel passato ha dato risultati fallimentari.
Facciamo un passo indietro. Nelle citate lauree professionalizzanti c’è l’aspetto formativo, c’è il tirocinio e c’è il diploma finale. Che cosa non va?
Non va la mancanza di un pensiero che permetta di guidare e valutare le conseguenze di un progetto culturale indispensabile per il paese. Poi la responsabilità politica delle scelte di investimento. La Giannini aveva appena perso in parlamento l’opportunità di raddoppiare il fondo di dotazione degli Its con soli 13 milioni (somma ferma da cinque anni malgrado il raddoppio del numero di fondazioni): e chi paga il conto delle lauree professionalizzanti?
Insomma, siamo all’improvvisazione, per non dire peggio.
Manca tutto il progetto. Ad esempio, come avere una flessibilità delle docenze che assicuri un’offerta formativa adeguata alla competizione globale e al salto tecnologico che stiamo vivendo? Occorre lavorare su un criterio che non sia una “riduzione del numero di pagine” delle lauree triennali. Non dovremmo poi dirlo noi, ma come fa il Miur a legiferare sulla formazione professionale se è di competenza regionale?
A che punto era ad oggi l’attuazione del sistema Its?
93 fondazioni, circa 6mila allievi all’anno in formazione, più dell’80 per cento dei ragazzi risultano occupati dopo un anno di attività. Le fondazioni sono ancora in fase di consolidamento, molte sono partite poco più di due anni fa. La qualità del sistema è ancora a macchia di leopardo, alcuni hanno in mente i corsi post-diploma come gli Ifts, ma molte sono già esperienze significative con un alto potenziale.
Ma in che cosa gli Its rispondono di più alla sfida?
Questo modello di scuole tecnologiche segna la strada maestra rispetto ai cambiamenti globali che stanno sgretolando il quadro di competenze tradizionali e travolgendo la struttura attuale del mercato del lavoro. Industry 4.0, cyber security, Internet delle cose, la pervasività della robotica, sono solo alcune delle sfide tecnologiche che stanno rivoluzionando i modelli economici e produttivi che abbiamo conosciuto finora. La nostra cabina di regia degli Its ha avviato per il consolidamento e lo sviluppo del sistema un serrato dialogo tecnico e politico con il Miur e con le altre istituzioni.
Lei come spiega le ragioni del successo di un modello, quello degli Its, ancora così giovane?
Con gli Its siamo andati oltre l’alternanza scuola-lavoro verso l’integrazione scuola-impresa. Le fondazioni hanno una governance condivisa, il 65 per cento dei docenti viene dal mondo del lavoro. La libertà di selezionare le persone con le competenze disponibili dà la possibilità di progettare una didattica efficace e sempre in linea con le esigenze del mondo del lavoro. L’impostazione dei corsi con 25/30 allievi e non seminari da 50/100 persone o più, permette una reale personalizzazione e la creazione di un ambito privilegiato per l’innovazione didattica. Il sistema è stato capace di creare una offerta formativa nuova e diversa. Lo testimoniano i tanti ragazzi con laurea breve che decidono di iscriversi all’Its anziché alla magistrale. Questo penso sia sufficiente per aprire una grande domanda sul cambiamento che l’università italiana è chiamata a fare per tornare ad essere quell’eccellenza culturale che ci ha distinto nei secoli.
Quali sono i danni che recherebbero le nuove “lauree” della Giannini a questo sistema in via di strutturazione e perché?
Innanzitutto la cannibalizzazione: evitiamo lauree sovrapposte ai diplomi per ambito e territorio. Abbiamo speso cinque anni per far nascere un sistema che rischiamo di soffocare nella culla. Non è mai stata fatta una comunicazione istituzionale. Se dico Its la gente risponde: scuola superiore?
Vero.
Un ragazzo o un genitore cosa sceglierà tra una laurea in università e un diploma di un Its, ancora oggi possibilità sconosciuta ai più? Tra quattro anni quando valuteremo le prime lauree professionalizzanti che in passato non hanno funzionato, cosa troveremo ancora degli Its?
A chi giova un provvedimento come quello adottato dalla Giannini? E’ un favore fatto a chi?
Guardi, posso sicuramente dirle a chi non giova. Sicuramente non giova a far crescere il sistema, non giova alla crescita delle università che dovrebbero concorrere sulla competizione internazionale verso l’alto. Le nostre università hanno perso il 30 per cento degli allievi e nel ranking internazionale sono molto lontane dai vertici. La percentuale di nostri laureati è tra le più basse in Europa. Molti dei migliori ragazzi che hanno le possibilità, vanno ormai a studiare all’estero dove trovano sistemi formativi che si confrontano con il mondo (34mila nel 2006, circa 50mila oggi: sono dati Unesco 2015). Non fa bene al 40 per cento di occupazione giovanile che ha già uno strumento efficace, gli Its, che possiamo e dobbiamo consolidare far crescere.
(Federico Ferraù)