Caro direttore,
bravissima la Zanello a delineare e sviscerare le contraddizioni, le oscurità, le velleità della sperimentazione lanciata dal ministero sul liceo di 4 anni. Bella anche la denuncia della miriade di banalità che hanno riempito negli anni la vita scolastica a spese dello studio formativo serio.
Purtroppo però la Zanello non vede e non esamina ciò che costringe, controvoglia e quindi malamente, il ministero ad accennare una riduzione del curricolo.
L’innominato — ed ancora innominabile in Italia — è la lunghezza del curricolo scolastico che in Europa risulta più breve di quello italiano di circa il 25 per cento. Così tante ore in più non si possono spiegare con le peculiarità della nostra tradizione educativa, eccetera eccetera, perché rappresentano effettivamente un’enormità. Sarebbe come se in Europa si lavorassero 30 ore settimanali ed in Italia fossimo restati alle 40. Sono certo che nessun sindacalista ignorerebbe questo fatto, anzi lo nominerebbe in modo martellante in ogni occasione.
Invece nella scuola no. Da noi si viaggia sulle 1000 ore annuali per 13 anni contro la media europea di 800 per 12 anni e su questo nessuno dice nulla. Né i ministeriali né gli anti-ministeriali. Eppure è proprio lì l’enorme contraddizione che ha costretto le scuole italiane all’estero a ridurre il percorso a 4 anni. Come? Passando da 30 a 36 ore settimanali ma di 50 minuti l’una, e ciò “per rendere il lavoro degli studenti sopportabile”.
Ma questa considerazione sulla sopportabilità del curricolo perché non valgono in Italia? Quando ancora vigevano le 5 ore giornaliere su sei giorni alle medie gli insegnanti di matematica e italiano mi pregavano di non mettere la loro materia alla quinta ora perché l’attenzione degli studenti era ormai svanita. Ovviamente la richiesta non era applicabile visto l’intreccio degli orari. Oggi, con la settimana corta, abbiamo non solo la quinta ma anche la sesta ora consecutiva di lezione. Una vera e propria mostruosità inutile per l’apprendimento e dannosa per la salute degli studenti.
Il ministero non dice perché vuole fare questa sperimentazione e giustamente la Zanello si chiede se si voglia creare un percorso accelerato per i bravi, cosa non insensata ma improponibile in Italia, oppure arrivare a ridurre il curricolo di tutti gli alunni.
La Zanello respinge l’idea del percorso accelerato per i bravi, ma dimentica che fino a 40 anni fa al liceo andavano solo i più bravi. Dimentica anche che allora nel liceo le ore settimanali erano 24.
A partire dal 1977, quando ancora eravamo vicini agli standard europei, si sono fatti moltissimi “progressi” in questa anomalia prima inesistente. Si è portato l’orario delle elementari e delle medie da 24 a 30 ed anche 40 ore settimanali. La febbre è poi passata alle superiori con il progetto Brocca che mirava alle 36 ore d’ufficio per tutti. Solo la limitazione economica ha impedito la totale statalizzazione della vita giovanile in Italia.
Come mai anche i licei che funzionavano egregiamente così come le scuole elementari, pure loro con 24 ore settimanali e 4 mesi di intervallo estivo, sono stati portati alle nostre gigantesche ed occultate 30 ore per 33 settimane l’anno?
E’ avvenuta una cosa particolarissima tipica della scuola italiana: la nascita ed il trionfo di quella visione a cui hanno contribuito innumerevoli forze, esigenze e culture, secondo la quale gli alunni dovevano stare a scuola tutto il giorno. Ciò veniva indicato come un miglioramento grandioso sia dei processi socializzazione, sia come un metodo nobilissimo per vincere l’ingiustizia dei destini di classe sociale prestabiliti dall’origine familiare.
Il comunismo scolastico omologante sembrò vincente. Era apparentemente sostenuto da tutti ma la sua vera forza motrice era un’altra, dato che in Italia l’egualitarismo ideologico, pur forte, era ed è comunque minoritario sul piano culturale e politico. La sua vera spinta sotterranea e incontenibile era quella di matrice sindacale, smaniosa di moltiplicare i posti di lavoro statali mettendoli a disposizione, tramite i concorsi, dell’enorme spinta verso la sicurezza dell’impiego pubblico cioè dell’insegnamento.
Dopo il crollo del comunismo politico nell’89 e dopo il travaglio che ha portato alla metamorfosi del Pci in Italia l’ingordigia sindacale statalista non si è esaurita. Essa si è data un’altra bandiera nobile anche se chiaramente impropria per il sistema di istruzione, e cioè il “sostegno” ai genitori che lavorano. Missione questa che sarebbe facilissimo espletare tramite l’apertura pomeridiana delle scuole per infinite attività opzionali.
Ma anche la distinzione tra attività obbligatorie ed opzionali è oggi malvista ed ostacolata in italia. Per vari anni le attività opzionali esistettero nella scuola media dopo l’unificazione, nel 1962, tra la vecchia media ginnasiale con esame di ammissione e la scuola di avviamento professionale a cui accedeva l’80 per cento dei giovani al termine delle elementari. Gradualmente le attività opzionali furono eliminate sotto la spinta dell’utopismo sociale uniformatore, potentissimo negli ambienti scolastici. La scuola italiana, sempre gestita da ministri della sinistra democristiana, fu sempre una fucina dell’utopia egualitaria. Un’utopia che ha vinto livellando verso il basso la cultura di tutti i giovani e di tutto il sistema scolastico e generando la scuola insopportabile e fatua che vediamo e critichiamo oggi.
Ed ecco la sorpresa: l’ambigua e come sempre confusa proposta ministeriale e la sdegnata analisi della Zanello (che certamente sotto questo profilo è in buona e numerosa compagnia) sono in realtà due facce della stessa medaglia. Indebolito l’utopismo egualitaristico, resta la possente spinta sindacale la quale sempre abilmente si paluda con nobili ragioni. Ma ormai la concezione del “tutti a scuola tutto il giorno” si trova sfasata e perdente non solo rispetto alla scuola del futuro ma anche a quella del passato, tardivamente apprezzata dai nostalgici e contradditori avversatori del quadriennio.
Oggi, timidamente, si affaccia l’idea che bisognerebbe fare dei passi indietro. Peccato: solo quindici anni fa abbiamo concluso la demolizione della scuola magistrale che per un secolo aveva sfornato ottimi diplomati con solo 4 anni di superiori. Diplomati famosi e molto amati, i maestri, che avevano educato ed istruito gli italiani per un secolo intero.
L’anomalia della scuola magistrale che durava 4 anni poteva essere risolta uniformando sui 4 anni tutte le scuole superiori compresa la scuola professionale. L’idea era presente nel modello Moratti-Bertagna. Fu abbattuta dall’opposizione sia di sinistra che di destra, unite nella difesa di una presunta qualità finale del prodotto scuola che già era svanita.
Si continuerà a parlare fumosamente ed inutilmente senza riconoscere il ruolo dell’innominato?