SCUOLA/ Paritarie per l’infanzia, indovina qual è la Regione che ha dato 0 euro

- Pierluigi Castagneto

C'è una Regione che (finora) non ha dato nemmeno un euro alle scuole paritarie per l'infanzia. Una regione rossa? Assolutamente no: la Liguria forzaleghista di Toti. PIERLUIGI CASTAGNETO

giovanni_toti_1_lapresse_2017 Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria (LaPresse)

La debolezza del pensiero e delle identità porta alla destrutturazione dell’azione politica. La cifra del periodo post-ideologico odierno coincide proprio con la confusione ideale dei soggetti politici e sociali, per cui la sinistra assomiglia alla destra e viceversa. Il fenomeno si riscontra in diversi settori e in particolare ha un ottimo punto di osservazione nel settore delle scuole non statali. Si sa che il finanziamento alle scuole paritarie porta con sé molta incertezza, a cominciare da quello statale, erogato purtroppo in tempi lunghissimi a causa di una burocrazia elefantiaca. Inoltre, notizia di questi giorni, per il 2018 c’è un netto regresso rispetto a quest’anno. Nella manovra appena varata dal governo sono stati tolti i 50 milioni di euro per le scuole dell’infanzia paritarie e i 25 milioni per la disabilità aggiunti nel 2017. Sulla materia sono in corso contatti tra diversi parlamentari della maggioranza e minoranza per rimediare al gap ma, com’è noto, l’anno prossimo si dovranno rinnovare i contratti della scuola statale, che hanno un peso maggiore rispetto al settore non statale, visto che il 2018 è anche un anno elettorale.

La situazione non è rosea nemmeno sul piano delle Regioni, che erogano regolarmente fondi alla scuola dell’infanzia, in quanto essendo la materna molto diffusa sul territorio, corrisponde in modo efficace al bisogno delle famiglie e mette in pratica una reale sussidiarietà. Tuttavia essendo parcellizzata, per il fatto che i bimbi dai 3 ai 6 anni hanno bisogno, per necessità intrinseche, di rimanere legati al territorio, sotto il profilo gestionale le paritarie dell’infanzia sono più fragili. In genere sono legate alle parrocchie, alle congregazioni religiose, a cooperative o associazioni di genitori, hanno un numero ridotto di bambini, che certo non facilità la quadratura de bilanci. 

Osservando l’approccio che hanno le Regioni su questo tema, si può notare come i confini tra destra e sinistra si siano assottigliati. La Sardegna, ad esempio, ha stanziato quest’anno la cifra record di 18 milioni di euro, che permette di accedere al contributo regionale da erogare direttamente alle scuole, mentre il contributo del Friuli ammonta a 2,5 milioni per il funzionamento delle scuole non statali, indirizzato alle spese organizzative, più 170mila euro per progetti speciali e 885mila a favore delle sezioni primavera. Inoltre La Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato 8,5 milioni di euro come anticipazioni di cassa sui contributi annuali assegnanti dallo stato per le loro attività istituzionali. Un provvedimento sensato che permette di anticipare i finanziamenti statali che in genere arrivano ad anno scolastico terminato, con gravi problemi finanziari per le piccole scuole che nei mesi estivi non percepiscono le rette. Debora Serracchiani, esponente di punta del Pd e presidente della Regione ha dichiarato che “La Regione difende il diritto costituzionale all’istruzione, senza distinzioni tra scuole pubbliche e private, ancor più in un territorio come il nostro in cui spesso, soprattutto tra le scuole d’infanzia, sono proprio le scuole paritarie a garantire il servizio”. Ha poi proseguito dicendo che “La Regione è impegnata sul fronte dell’istruzione senza pregiudizi” e ha auspicato una “crescente collaborazione tra pubblico e privato nell’erogazione di sistemi di sostegno e servizi complementari”. 

La Regione Toscana attua il sistema del buono scuola con una risorsa limitata di 858mila euro e prevede scaglioni Isee da 17.999 euro a 30mila e contributi che vanno da 100 euro al mese per le fasce più deboli a 30 euro. Molto interessante poi il finanziamento dell’Emilia Romagna, che prevede contributi per tutte le 832 scuole non statali, sia rette da soggetti privati che dagli enti locali. La cifra totale ammonta a 4,2 milioni di euro e viene erogata a favore degli oltre 57mila bambini dai 3 ai 6 anni. La Regione Lombardia, con l’assessore all’istruzione Valentina Aprea, sempre in prima fila per il sostegno alla scuola non statale, ha stabilito per quest’anno un investimento di 8 milioni di euro più altro 500mila per sostenere le spese per gli insegnanti di sostegno. 

Se dunque il primato spetta alla Sardegna, la Liguria è il fanalino di coda. Nel bilancio 2017, la giunta di Giovanni Toti, punta di diamante dell’area politica guidata da Silvio Berlusconi, aveva previsto la cifra tonda di zero euro, che ovviamente le dà il primato negativo in tutta Italia. Ora si sta aspettando l’assestamento di bilancio e si prevede che la cifra recuperata sia poco superiore ai 200mila euro. Compreso il contributo per la disabilità la cifra devoluta alle circa 250 scuole dell’infanzia rette da soggetti privati (quindi non quelle gestiti dai comuni), dovrebbe aggirarsi sui 700 euro ciascuna; un’inezia che rivela la fragilità culturale e quindi la povertà ideale dei membri della giunta della Regione Liguria.

Ma come, non erano a sinistra gli statalisti fortemente sbilanciati verso la scuola pubblica, mentre il centrodestra intendeva favorire la sussidiarietà, la libertà educativa e la famiglia? E invece, il Friuli della Serracchiani batte la Liguria di Toti. L’assessore leghista all’istruzione di piazza de Ferrari, Ilaria Cavo, che a parole pare si sia spesa per sostenere la scuola paritaria, rivela come la Lega (che ora non ha più il “Nord” nel simbolo), sia segnata da un deficit politico-culturale che la mette sullo stesso piano degli esponenti di M5s e della sinistra più radicale. Nella Liguria dove sono stati spesi oltre 50mila euro per i red carpet stesi sulle splendide passeggiate a mare di mezza regione, pare che il rosso piaccia molto ai politici del centrodestra. Un segno del destino che fa vedere come in politica gli opposti si possono anche congiungere.





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