«Gli studenti non sanno scrivere in italiano, le Università hanno attivato in questi anni corsi di recupero di lingua italiana, ma così non va». In questa lettera-denuncia, 600 docenti universitari di ogni grado e provenienza, ha inviato una lettera aperta al Presidente Gentiloni, al Presidente Mattarella e all’intero Miur assieme al Parlamento Italiano. Una presa di posizione netta, vivace ed esasperata per chi da anni lamenta il livello sempre più basso di conoscenza base della lingua italiana. Ecco l’incipit della Lettera: «È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana». Un errore nelle tesi universitarie un tempo era una rarità ed era vissuto quasi come un peccato da confessare (l’esagerazione all’opposto ovviamente non è mai il miglior antidoto al problema), oggi è la consueta abitudine…in una singola pagina, figuriamoci in una tesi o un elaborato d’università o peggio nei vari documenti nel mondo del lavoro. «A fronte di una situazione così preoccupante il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato, anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema», continua la lettera “storica”.
La scuola si ribella contro “il disastro culturale dei nostri giovani, non si può continuare così”: fa discutere la lettera dei docenti italiani anche perchè si “permette” di delineare anche varie possibili riforme nel sistema di studio degli primi 8 anni di scuola dell’obbligo, il cosiddetto Primo Ciclo (5 anni di elementari e tre di medie). «bbiamo invece bisogno – viene rilevato – di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti». Ma quali sono le primissime linee che i docenti vorrebbero implementare per fermare “l’emorragia” dell’italiano come lingua scritta e parlata? «Traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni; l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano. Sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola». Per i tanti professori accademici che hanno scritto al Presidente della Repubblica, la verifica periodica nazionale durante gli otto anni del Primo Ciclo devono avvenire da subito, riformando profondamente la stessa scuola italiana. «Questi momenti costituirebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occasione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza drammatizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero finalmente dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro».