Le Scuole per l’Europa (SpE) costituiscono un unicum in Europa e probabilmente nel mondo. Alcuni dati elementari. Le SpE hanno diverse sedi, 13 per l’esattezza: a Sarajevo (dove sorge anche la sede principale), a Tuzla e a Zenica. Sono frequentate da oltre 3.500 alunni, distribuiti nei vari ordini di scuole: primarie, secondarie di primo grado e di secondo grado (liceo classico e scuola per infermieri). Ogni ordine di scuola ha un proprio dirigente, che coordina il lavoro delle diverse decine di docenti. Ma ciò che rende eccezionali queste SpE è l’esperienza umana, educativa e culturale che realizzano, soprattutto tenendo conto del contesto storico nel quale essa è iniziata e continua a crescere.
Nel momento più tragico della storia della nazione nel ‘900 — e cioè nel vivo della guerra di Bosnia, con il terribile e sanguinoso assedio di Sarajevo da parte delle forze serbe, tra il 1992 e il 1995, che ha provocato decine di migliaia di morti tra i civili e la distruzione della città e della sua vita sociale ed economica, con il riemergere violento di antiche e mai risolte inimicizie etnicoreligiose, tra ortodossi, musulmani, cattolici, ebrei — mentre tutti, dunque, sono travolti da uno spietato odio reciproco, mons. Pero Sudar, arcivescovo ausiliare di Sarajevo, dà origine ad un’opera educativa decisamente contro corrente.
“Con l’ultima guerra (1992-1995) — afferma — sono state portate al culmine vecchie tensioni politiche ed attuati progetti criminali. Per ‘giustificare’ la morte di circa 278.800 persone, per la maggior parte civili, e la cacciata dal paese di quasi un terzo della popolazione (1.250.000), la propaganda si è servita della teoria dell’intolleranza etnica. Il peso delle ingiustizie storiche, delle false ideologie e dei crimini ultimamente commessi ha minacciato di far crollare del tutto la convivenza creatasi lungo i secoli. Sul fuoco dell’intolleranza hanno cominciato a soffiare quasi tutti. Furono proposte la separazione etnica totale e la spartizione definitiva del Paese come unico mezzo per fermare la guerra omicida. L’inaudita brutalità e la cosiddetta pulizia etnica miravano a convincere tutti dell’inevitabilità della divisione etnica. I promotori e sostenitori di questa soluzione hanno chiuso gli occhi davanti all’impossibilità di separare gente mescolata nel corso dei secoli, di spartire la loro patria senza calpestare tutti i diritti umani e senza trasgredire tutti i comandamenti di Dio”.
In questo contesto terribile, all’inizio “la Chiesa della diocesi di Vrhbosna-Sarajevo ha deciso di aprire una piccola scuola per i bambini cattolici, per stimolare i loro genitori a rimanere a Sarajevo. Inoltre, si sperava che ci potessero essere anche dei genitori non cattolici ad avere i loro motivi e soprattutto il coraggio di mandare i loro figli in una scuola che voleva essere un segno e un modello di convivenza e un laboratorio della pace. Così abbiamo deciso di dare i pochi posti della scuola di Sarajevo ai primi alunni che lo avessero chiesto, senza fare distinzione di etnia o di religione. In tal modo speravamo che la scuola cattolica potesse diventare una testimonianza efficace che la gente non rifiutava del tutto di continuare a vivere insieme”.
Una scuola dall’identità forte e chiarissima, radicata nella grande tradizione occidentale: quella della civiltà greco-romana nel suo incontro con l’Avvenimento cristiano, avendo come orizzonte attuale l’Europa e la sua anima vera, nel cui alveo nel corso dei secoli l’uomo ha dato il meglio di sé — pur tra guerre, contraddizioni ed errori — in tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Il logo della scuola sintetizza con immediatezza l’identità della scuola: il Partenone, la Croce di Cristo, le stelle dell’Europa Unita. Ma, proprio in forza di una tale identità, si è sviluppata una scuola capace di essere accogliente verso tutti, di proporre a tutti un cammino di pace, di convivenza operosa e costruttiva tra diverse identità etniche e religiose.
“Nel liceo si insegnano il latino ed il greco con l’intenzione di far conoscere ai nostri alunni il patrimonio da cui è sorta l’Europa”, spiega mons. Sudar. E, insieme a tutte le discipline incluse nei loro programmi elaborati in modo originale, si insegna anche religione. Materia evidentemente delicatissima. Come? Ciascun alunno segue l’insegnamento della religione nella quale è nato e cresciuto, con docenti delle rispettive religioni scelti dalla scuola. Ogni tradizione religiosa e culturale è positiva anche per tutte le altre tradizioni: questo è il convincimento che può condurre ad una convivenza pacifica, se condiviso dal profondo del cuore.
“Tali materie, aggiunte al programma ufficiale, mirano a far nascere il desiderio nei cuori dei nostri alunni di essere i cittadini dell’Europa, dopo aver ‘assaggiato’ le proprie radici e conosciuto il proprio patrimonio. Il cittadino europeo, oggi e in futuro, dovrà possedere innanzitutto la capacità di dialogare”, continua mons. Sudar. Occorre passare dall’intolleranza alla tolleranza, ma una tolleranza che evolva rapidamente in “amore”, nei rapporti personali e sociali: capacità di stima e di sguardo positivo tra diversi, e volontà di vivere e costruire insieme una civiltà della verità e dell’amore, come diceva San Giovanni Paolo II (una cui statua è posta non casualmente davanti al Duomo di Sarajevo).
I rappresentanti della comunità internazionale sono oggi arbitri del destino della Bosnia e Erzegovina (BeE), e ciò non è purtroppo un fatto automaticamente positivo. “Promuovere qualsiasi cosa che non viene ben vista da loro — sostiene mons. Sudar — significa raddoppiare gli ostacoli che devono essere affrontati. Non c’è più alcun dubbio che questo nostro progetto [le SpE] non gode della loro simpatia. Tra l’altro lo conferma il solo fatto che questo progetto, da parte loro, non è mai stato appoggiato né materialmente né moralmente. Non è facile capire la complessità dei loro motivi. Pare che uno di essi sia il fatto che nelle nostre scuole cerchiamo di coltivare l’identità etnica, culturale e religiosa di ogni alunno. Per quanto si può capire, sembra che la maggioranza dei rappresentanti della comunità internazionale, che decidono su tutto in questo Paese, sia del parere che proprio le differenze tra gli uomini siano la ragione della intolleranza e delle guerre. Dopo quattro tentativi falliti (turchi, austriaci, serbi e comunisti) si riprova ancora a promuovere un apparato amministrativo che nega o cancella le diversità a cui la stragrande maggioranza della gente tiene”.
Una stessa identica ottusità — “politicamente corretta” e facile a divenire violenza quando si sente contraddetta — sembra attraversare il mondo, a est come a ovest, incapace di riconoscere e rispettare la concreta umanità delle persone e la ricchezza dei popoli nella varietà delle loro espressioni. Anche la conoscenza delle lingue moderne e la capacità di servirsi dei moderni mezzi di comunicazione è certo importante per comunicare. E le SpE le propongono. “Però queste capacità non rendono l’alunno ancora disponibile a dialogare e ad impegnarsi per la pace. Solo l’educazione del cuore umano e una personalità formata integralmente, attraverso la coraggiosa proposta dei veri valori, prepara e rende disponibili al dialogo. (…) L’impegno appassionato e l’esempio degli insegnanti [anch’essi non tutti cattolici, ndr] costituiscono la condizione necessaria iniziale per la creazione di un’atmosfera in cui la crescita umana possa essere accolta e vissuta come qualcosa di positivo”.
Favorire attraverso l’educazione lo sviluppo integrale della personalità dei giovani permette di rispondere ad una precisa responsabilità storica su scala anche internazionale. “Promuovere la convivenza pacifica in BeE significa anche dare il nostro contributo affinché la fiamma della guerra in Europa non parta più da Sarajevo”. E, se l’esempio di Sarajevo verrà seguito, affinché non parta neppure da nessun altro angolo d’Europa. Conclude Mons. Sudar: “Le ‘Scuole per l’Europa’ sono divenute un segno d’incoraggiamento e di speranza per molti, in Bosnia ed Erzegovina. Attraverso queste scuole la Chiesa mette in pratica la convinzione che la sua missione in questo Paese non si esaurisce nelle semplice pastorale. Essa è chiamata a porre, e a proporre a tutti, i segni concreti dell’amore di Cristo che redime e riconcilia. L’educazione ai valori dimenticati rappresenta il sommo grado di solidarietà con gli uomini di oggi. Diventando una prova vissuta che neppure la spaventosa esplosione dell’odio riesce ad inquinare tutte le sorgenti dell’umano, questo piccolo progetto testimonia che non vi possono essere situazioni a cui dobbiamo arrenderci, perché niente ci dispensa dall’obbligo di impegnarci per la pace. Anzi!”.
La Chiesa italiana e tedesca hanno aiutato e sostenuto l’esperienza delle SpE. E sono iniziati contatti sistematici con realtà educative e scuole italiane (ad esempio alcune aderenti alla Fism o alla CdO-Opere Educative) che si sentono in forte sintonia metodologica con esse.
(Claudio E. Minghetti)