I decreti attuativi sulla “Buona Scuola” sono stati approvati in Consiglio dei ministri e così anche il travagliato decreto attuativo sulla valutazione. Quali novità prevede il decreto? Nella scuola primaria la valutazione dello studente continuerà a passare per la descrizione delle competenze acquisite e per i voti numerici (da 1 a 10). La proposta di trasformare i numeri in lettere non è passata. In alcuni paesi, ad esempio la Svezia, i voti numerici sono stati trasformati in lettere al fine di limitare il carattere “imperativo” delle cifre. In un paese — il nostro — che già non brilla di amore per la matematica, affermare la “minore aggressività” delle lettere rispetto ai numeri non sembra un gran bel segnale. Nella sostanza, ci pare non cambi molto tra lettere e numeri. Ma forse qualcuno potrà apportare ragioni più valide a sostegno delle lettere vs numeri su questa dibattuta vicenda.
Cambia poi l’esame di stato a conclusione del primo e del secondo ciclo. Come è andata a finire per le prove Invalsi? Nell’esame per la scuola secondaria di primo grado non ci sarà più la prova Invalsi. Le prove Invalsi (italiano, matematica e inglese) saranno prerequisito alla partecipazione dell’esame sia per il primo e sia per il secondo ciclo e per questo sono previste prove suppletive per gli assenti. L’esito delle prove Invalsi non inciderà sul voto complessivo dell’esame, ma è prevista l’indicazione del livello raggiunto nelle prove Invalsi per ogni disciplina oggetto della rilevazione all’interno del curriculum dello studente ovvero sul “pezzo di carta” che costituirà il diploma. In questo modo si andrà a tenere ragionevolmente separata da un lato la valutazione della scuola e dall’altro la misurazione standardizzata del sistema centrale offerta dalle prove Invalsi. Il decreto sulla valutazione chiarisce anche, una volta per tutte, che le prove Invalsi costituiscono “attività ordinaria di istituto”. Quest’ultimo chiarimento e l’indicazione dell’esito delle prove nel curriculum dello studente costituiscono due elementi che incrementeranno l’affidabilità dei dati prodotti anche per un’analisi di sistema. Da un lato infatti si chiarisce che i docenti sono tenuti a far svolgere le prove, e dall’altro sia gli studenti sia i docenti avranno interesse non solo a partecipare ma ad impegnarsi nel loro svolgimento.
Una ulteriore precisazione: l’esito della prova Invalsi verrà definito in forma descrittiva all’interno del curriculum dello studente. Ciò lascia presupporre l’assenza di un punteggio in cifre in grado di differenziare agevolmente gli esiti di studenti con performance similari. Di fatto la sola descrizione del livello raggiunto rende l’esito della prova Invalsi non utilizzabile dalle università per selezionare in ingresso gli studenti. Anche qui c’è qualcuno a cui i numeri non piacciono. Le università dovranno continuare a farsi i propri test di ingresso. Ricordiamo che i test di ingresso proposti dalle università sono metodologicamente meno affidabili dei test Invalsi perché, ad esempio, non hanno il pre-test. Se un da un lato la formula di introdurre nel curriculum l’esito della prova Invalsi risolve almeno la questione della serietà con cui viene affrontata la prova, dall’altro la forma descrittiva ne preclude l’utilizzo alle università nella selezione dei propri studenti.
Visto il continuo attacco alle prove Invalsi e il rischio corso anche in questi giorni di depotenziamento, il bicchiere è da considerarsi in ogni caso mezzo pieno.