Quando qualche settimana fa sono comparsi a Milano i primi manifesti che segnalavano l’imminente apertura a Pavia, presso il Castello Visconteo, di una mostra dedicata ad Antonio Ligabue, mi sono subito detta che non avrei potuto perdermela. Il passo successivo è stato quello di telefonare a una direttrice di scuola dell’infanzia — che giusto a Pavia lavora — per invitarla: “Ci devi portare i bambini” le ho detto, perché sicuramente quella mostra è concepita più per loro che per noi.
Non mi sbagliavo. L’incontro con Ligabue e con la sua pittura costringe infatti anche gli adulti a ritornare bambini per riuscire finalmente a vedere la realtà senza filtri né schemi: quella realtà capace di stupire chi è ancora disposto a “lasciarsi ferire dalla bellezza”.
È proprio la sorpresa di questa bellezza che, senza nessuna pretesa, ti raggiunge e ti cattura attraverso quella festa di forma e di colore rappresentata dalle opere di Ligabue esposte al Castello Visconteo.
Alla tigre reale, al giaguaro e al leopardo che, immersi nel cuore della giungla, si lanciano con ferocia sulle prede inconsapevoli, dilaniandole, Ligabue mescola imprevedibilmente buoi e cavalli, tacchini e lepri, galline e conigli: pazienti e sottomessi si offrono, gli animali domestici, allo sguardo vigile e operoso del contadino intento all’aratura o alla semina sullo sfondo bucolico di un paesaggio campestre. Ad illuminare lo spazio circoscritto della fattoria o l’ampia distesa dei terreni coltivati, sono talora il remoto profilo delle Alpi svizzere, talaltra l’orizzonte crepuscolare di Gualtieri, piccolo borgo nella bassa Reggiana, lungo gli argini umidi e argillosi del nostro Po.
È forse il fascino di questi mondi così lontani e diversi ad accendere la fantasia di chi si trova davanti le opere di questo artista ripercorrendo, magari inconsapevolmente, il doloroso itinerario della sua esistenza.
Recentemente Massimo Recalcati, presentando il suo ultimo libro Il Mistero delle cose. Nove ritratti di artisti, ha tenuto a sottolineare che nessuna opera va letta o guardata come sintomo o proiezione dei fantasmi inconsci del suo autore. Non è infatti l’inconscio dell’artista, quanto piuttosto l’inconscio dell’opera a destare — secondo Recalcati — il vero interesse. Esiste cioè una sproporzione, prosegue lo psicoanalista, tra la realizzazione dell’opera e l’intenzione creativa che la precede. Non è dunque l’ispirazione a generare il lavoro dell’artista come applicazione quasi meccanica di un’idea precostituita, quanto piuttosto è il lavoro dell’artista a generare e guidarne l’ispirazione come il miracolo di un avvenimento che mai finisce di accadere.
L’intero spazio della mostra, audioguida compresa, è finalizzato — mi sembra — alla messa a fuoco di tale stimolante prospettiva.
È forse questa la ragione che privilegia proprio i bambini (insieme agli animali, va ricordato, furono i soli veri interlocutori dell’artista vivo) nella tessitura di un dialogo fitto ed intenso con l’uomo Ligabue. Sono loro a guardare assetati e scevri da pregiudizio la realtà quotidiana, spalancati e desiderosi di conoscerla per coglierne il nesso “naturale” con il loro vissuto, con la loro personale esperienza. È da questo misterioso fiotto che sgorga dunque, nei piccoli, la nobile povertà della domanda cui puntuale la realtà risponde senza introdurre il dubbio, l’incertezza o la paura, neppure di fronte alle fauci spalancate di una tigre famelica.
Geniale, al riguardo, l’allestimento della mostra che non ha trascurato la segreta preferenza di Ligabue per l’universo infantile: alcuni quadri, ad esempio, sono stati collocati all’altezza dei visitatori più piccoli, per consentirne una visione adeguata; o ancora: nello spazio della mostra riservato ai laboratori didattici, sono stati sistemati fogli e specchi alle pareti, invitando espressamente i bambini a disegnare il proprio autoritratto. Scrutare il mondo che appare nello specchio, riflettere su di sé mentre magari ci si esprime con versi e boccacce: ecco di che cosa sa stupirsi il bambino, mentre scopre come tutto, ai suoi occhi, sia nuovo e meraviglioso.
Così dunque le opere di Ligabue possono aiutare questi potenziali artisti ad incrementare la loro appena germinata coscienza.
Quale strumento più pertinente allora che la visita a questa mostra, per raccogliere — dall’orizzonte misterioso e segreto della follia dell’artista — il suggerimento che Antonio Ligabue offre umilmente a grandi e piccini: l’invito a crescere scoprendo “come l’arte possa diventare riaffermazione della dignità umana e strumento di riappropriazione di un ruolo sociale che a lui la vita non aveva altrimenti garantito” (cfr. S. Bartolena, Ligabue, Rousseau, Van Gogh: così lontani, così vicini, Skira, catalogo della mostra, p.37).