Fra tre settimane inizieranno gli esami di stato delle scuole superiori, l’ordinanza ministeriale, che fissa regole già note, è già da circa un mese nelle scuole e non presenta sostanziali novità. Lo studio impazza ma la voglia di novità è tanta e per questo si vuole scardinare da quest’anno il vecchio meccanismo.
Niente di più sbagliato. Che l’esame sia da rinnovare se non da cambiare radicalmente è un dato di fatto, ma non con degli aggiustamenti mentre i lavori sono in corso! Se si vuol cambiare bisogna farlo seriamente e non inserendo delle pezze in un vestito vecchio e liso. Se si vuol cambiare bisogna farlo dall’inizio del percorso e non alla fine, approfittando degli strappi che si aprono nel vestito. E’ un grave errore quello di dire oggi agli studenti e alle studentesse che forse cambierà l’impostazione del colloquio o che la terza prova dovrà tener conto dei progetti fatti durante l’anno: in questo modo, si fanno di studentesse e studenti di questo anno scolastico delle cavie su cui sperimentare ciò che si vuol fare nel futuro.
E’ meglio evitare di sconvolgere il già precario equilibrio dei candidati con delle forzate novità, semplicemente si dovrebbe riportare l’esame di stato nei binari di una prova seria e coerente, fare dell’esame di stato un’occasione per verificare ciò che deve essere verificato, cioè se gli studenti e le studentesse sono diventati capaci di vera conoscenza, se non ripetono un sapere precostituito ma sanno imprimere un loro timbro personale in ciò che hanno appreso. Questa sarebbe la vera novità dell’esame, che si vada a vedere se — e come — l’impegno nello studio è diventato un’avventura personale.
Ogni prova dovrebbe avere al suo centro questa preoccupazione, questo scopo, e non l’introduzione forzata dell’alternanza scuola-lavoro né un qualsivoglia progetto che abbia impegnato il giovane nel tempo libero. Verificare la rielaborazione critica degli argomenti è la questione seria di una valutazione che non voglia ridursi a certificare degli apprendimenti, perché la maturità si vede dalla capacità di creatività o di criticità che un giovane sa documentare.
Se si vuole qualcosa di nuovo da questi esami si guardi a ciò che ogni studente o studentessa ha imparato e si cerchi di capire che cosa vi ha messo di suo, che cosa vi sia di originale. Per cercare di capire l’apporto personale di uno studente occorre che il suo insegnante faccia un lavoro insieme a lui, non può bastargli che lo studente gli ripeta delle nozioni, gli deve interessare la sua umanità, deve “cercarla” e impegnarsi a dialogare con essa. A queste condizioni l’esame diventa nuovo e affascinante, perché è il confronto di due umanità.
Una medesima attenzione dovrebbero avere gli studenti che in questi giorni si preparano agli esami e gli insegnanti che si accingono a formulare le domande della terza prova e a condurre il colloquio: l’attenzione alla sintesi, a identificare tra tutto ciò che hanno appreso gli allievi i punti sintetici, i gangli culturali fondamentali. Questo è il valore dell’esame di stato, questo va a scoprire, la capacità di sintesi; qui sta la vera maturità, nella capacità di uno sguardo sintetico.
Se l’esame avrà questa impronta sintetica avrà valore e viverlo risulterà perfino affascinante. Altrimenti sarà solo una formalità da chiudere al più presto.