SCUOLA/ Il “segreto” per non buttar via un anno scolastico

- Fabrizio Foschi

Il dialogo non sostituisce la disciplina, non è né un surrogato, né un sonnifero. Non è didattica, ma è una grande occasione anche tra professori e studenti, dice FABRIZIO FOSCHI

scuola_studenti_2_lapresse_2016 (LaPresse)

Strana la sorte del dialogo nella nostra epoca, tutti ne parlano, nessuno lo conosce. A scuola si insegna il “dialogo tra le culture” che è già un passo avanti rispetto al dialogo. In politica il dialogo è banalmente ridotto a trattativa. In televisione il dialogo è un dialogo tra sordi. I grandi della terra si stringono le mani ma non dialogano. Che cos’è il dialogo? È forse morto? Se l’uomo fosse un’isola, il dialogo non esisterebbe, almeno nell’accezione di relazione tra due persone attraverso il logos, la parola. Invece l’uomo è per definizione un essere dialogico perché è un “io” che ha bisogno di un “tu” per esistere. L’educazione dovrebbe essere anzitutto un dialogo, ma come? Per rispondere, al termine di un anno scolastico, che è sempre un pezzo della vita di una piccola comunità che rischia di essere perduto per sempre se non si fissa nella memoria dei protagonisti, chi ha avuto una qualche responsabilità educativa provi a chiedersi se “è entrato in dialogo” con un suo alunno o con l’intera classe.

La prima verità del dialogo è che denota una attività, una dinamica per cui si accetta di entrare nell’ambito vitale di un altro e si è disponibili a lasciare entrare l’altro nel proprio. La qualcosa non ha niente a che fare con l’intrusione nella sfera privata altrui, qui si sta parlando di un fatto pubblico, di quella forma particolare di evento pubblico che è l’ora di insegnamento. La persona, ogni persona piccola o grande, afferma dei significati che travalicano il privato e si estendono a rappresentare per tutti una risposta alle questioni fondamentali, che si riassumono oggi in una: con quale speranza è lecito affrontare il presente e guardare al futuro? Entrare in questo mondo e lasciarsi interrogare da altri sul proprio è l’inizio di un dialogo anche tra diverse e lontane generazioni. Per entrare in dialogo con altri non posso, altro passaggio fondamentale, essere vuoto di attese su quanto la vita nella sua imprevedibilità può offrire. Si entra in dialogo se si è ricchi di domande e non tanto di soluzioni precostruite. È tutto sommato triste la situazione di insegnanti che non si portano a casa nulla dopo un anno scolastico, né ardui tentativi di aprire lo scrigno altrui, né soprattutto momenti di crisi scoppiati all’improvviso per una incomprensione o la mortificazione di una aspettativa. È interessante imparare dalle crisi, ti rimette a nuovo.

Sono questi momenti di apparente difficoltà nell’insegnamento che possono determinare un cambiamento di metodo nello sviluppo della proposta educativa. Che non è riempire un sacco vuoto e nemmeno, dalla parte dell’alunno,sopportare pazientemente le ore tra i banchi in vista della libertà dall’impegno scolastico, ma un continuo rimodularsi e rimodulare i programmi in funzione dell’apertura di un dialogo, minimo o massimo che sia. Certo, se la scuola fosse come la vita per il cardinale Federigo dei Promessi Sposi: non un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, saremmo a posto. Ma così non è. È un livello questo che occorre conquistare giorno per giorno. Ora, i programmi scolastici sono nel loro piccolo quello che sono state nella storia le dichiarazioni programmatiche delle forze del bene che hanno trionfato sul male. Delle immense e talvolta ponderose carte atlantiche dove c’è di tutto e dalle quali sembra dipendere la salvezza del genere umano. Poi però occorre scendere a terra e andare a cena, come è successo nella storia, con i propri avversari o invitarli a casa propria o entrare nella loro, come i Papi nella storia più recente ci hanno insegnato. Allo stesso modo, il programma, anche se di fatto come ci insegna la politica scolastica ridotto a “indicazioni”, deve essere adattato alle circostanze. Non banalmente rimpicciolito, ma reso sensato nel fissare le coordinate di una materia o di un gruppo di materie scolastiche dalla coscienza nuova che la posizione dialogica ha permesso.

Il dialogo non sostituisce la disciplina, non è né un surrogato, né un sonnifero. È un metodo. Implica attenzione, coscienza, apertura a tutto. Si impara nella scuola e vale per la vita e viceversa. Non è una didattica, è una grande occasione di cultura. La cultura del dialogo: cosa diversa dal dialogo tra culture. Esiste infatti una cultura originaria che precede la varietà delle culture istituzionali e delle religioni storiche. È appunto la cultura costituita dai significati fondamentali che rispondono alla domanda: chi sono? Guardarli agire, i propri alunni, con questo sguardo che coglie le persone oltre il traffico delle attività normali è il segreto della vita. Il segreto di un anno scolastico che non è passato invano. 





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