SCUOLA/ I prof e l’errore di giudicare troppo in fretta la fragilità dei giovani
Per valutare nel modo migliore possibile bisogna recuperare una comunicazione diversa fra gli attori che formano il pianeta scuola: docenti, alunni, genitori. NAZARIA MARIA PERSIA

Dopo due mesi da quando è terminato il tour de force di fine anno, con 47 classi scrutinate, dieci giorni di lavoro dalla mattina alla sera senza interruzione, infinite discussioni fra i docenti e tenaci mediazioni, resta la solita amarezza per i risultati a volte non condivisi e tantissime domande a cui è difficile dare risposta.
Su quanti alunni non riusciamo a dare, come adulti, un giudizio vero, perché non abbiamo analizzato bene tutte le problematiche didattiche, familiari e psicologiche che accompagnano la vita e la personalità dell’alunno? Ma la scuola cosa deve giudicare? Per la maggior parte dei docenti la risposta è semplice: soprattutto il percorso di apprendimento dello studente, le conoscenze e le competenze raggiunte. Ma se ci limitassimo a ciò, gli ammessi alla classe successiva sarebbero molti di meno di quello che i prospetti finali ci fotografano. Al momento degli scrutini, sono sempre più i problemi familiari e psicologici degli studenti, gli attacchi di panico, le ansie, le fobie, le difficoltà a varcare il portone della scuola: questi diventano elementi “importanti”, a volte prioritari nella valutazione finale.
Sappiamo bene che questi atteggiamenti sono solo la spia di disagi più profondi che molte volte hanno radici nelle famiglie, e che sono da queste negati, perché sono vissuti come atti di accusa dei figli che scatenano in loro sensi di colpa.
Proviamo allora a capire da dove nasce questa fragilità dei giovani, come si alimenta, perché è così difficile fare un percorso positivo di crescita.
Certamente spiegazioni sociologiche contribuiscono a chiarire in parte il problema: le famiglie allargate a volte sono vissute male dai giovani, che vivono molto il senso dell’abbandono. Ma anche nelle famiglie tradizionali troviamo ragazzi che hanno paura di vivere, si sentono inadeguati ad affrontare la vita e i problemi.
Sicuramente tutti noi genitori dobbiamo fare un passo indietro: non dobbiamo sostituirci ai nostri figli, non dobbiamo facilitare sempre la strada che stanno percorrendo perché è necessario imparare ad affrontare e metabolizzare il dolore. La scuola è spesso il terreno dove visioni educative diverse si affrontano: i genitori difendono ad oltranza i loro figli, e i docenti si sentono incompresi nel loro quotidiano impegno educativo. Bisogna recuperare una comunicazione diversa fra gli attori che formano il pianeta scuola: docenti, alunni, genitori. Ognuno di loro deve guardare al problema educativo cercando di creare una sinergia e un punto di incontro fra visioni diverse. Gli insegnanti devono ricordare che oltre le conoscenze ci sono dei ragazzi che spesso devono accettare se stessi, i propri limiti e le proprie paure. I genitori devono ricordare che i loro figli stanno facendo un percorso di crescita, che può a volte essere faticoso e non rispondente a quelle che sono le loro aspettative. Gli alunni devono imparare che per avere risultati ci vuole impegno, costanza e curiosità, ma anche fatica, perché il percorso di introiezione del sapere e di rielaborazione personale non è semplice. In questo modo la scuola riacquisterebbe il valore centrale positivo che deve avere nella vita di ognuno di noi. Altrimenti rischia di diventare solo una montagna di carta, con tanti giudizi e tanti criteri, ma con nessuna crescita reale della persona.
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