Caro direttore,
già a fine agosto alcune scuole hanno già dato il via alle loro attività, soprattutto per quanto riguarda il recupero dei debiti scolastici, ma dall’1 settembre tutte hanno avviato esami e programmazione: si scaldano i motori per essere pronti ad affrontare le nuove sfide. Questo è un tempo importante, perché, dopo aver verificato il lavoro estivo degli studenti con debiti scolastici, si entra nel merito della programmazione impostando il nuovo anno.
A tal proposito si deve chiarire che cosa significhi programmazione e che cosa voglia dire mettersi a impostare i progetti per il nuovo anno scolastico. Si tratta di un lavoro delicato, perché dentro la scuola vi è un rischio che tutti corrono e che la struttura istituzionale favorisce. E’ il rischio che la programmazione sia una ripetizione di ciò che si è fatto lo scorso o gli scorsi anni e che i progetti siano una riedizione di quelli già fatti, soprattutto quelli che hanno avuto successo. Il rischio è elevato perché la programmazione e i progetti impostati nei primi quindici giorni di settembre sono fatti prescindendo dagli studenti, dalle classi in cui si insegna, per cui di fatto risultano astratti.
Qui sta il problema serio di tanta programmazione e di tanta progettazione, che viene fatta a tavolino, senza paragone con la scuola viva, senza aver colto le domande reali. Significa che non debba essere fatta? No, non si vuole dire questo, si vuol semplicemente dire che una programmazione e un’elaborazione di progetti deve essere fatta davanti agli studenti con cui si inizia un percorso e non prescindendo da loro.
Questo per una ragione molto semplice, che la comunicazione del sapere diventa conoscenza attraverso un rapporto. Ciò che quindi si fa prima che la scuola inizi manca di qualcosa che è fondamentale, il rapporto con gli studenti.
Per questo si programmi pure, valutando quello che si è fatto lo scorso anno, evidenziando punti di forza e debolezze; ma si eviti l’errore che molti insegnanti commettono, quello di elaborare un percorso che poi verrà meccanicamente applicato. Questa non è programmazione ma imposizione di un processo, non è educazione ma addestramento come quello che si propina ai topini di Skinner.
Occorre invece metter mano ad una ipotesi aperta alle domande e alla libertà degli studenti. Ogni insegnante deve essere consapevole che tutto ciò che prepara è per i suoi studenti, che possono percepirlo positivamente o che possono sentirlo estraneo, fino a volerlo cambiare. Ogni programmazione vera, ogni progettazione vera in ambito scolastico è incompiuta, manca delle domande e del confronto critico degli studenti.
Al tempo stesso, nel modo con cui un insegnante progetta si vede che tipo di insegnante è: un insegnante che impone forzosamente il suo sapere, credendolo già ben sperimentato, o un insegnante che si lascia correggere dalla realtà.
Ognuno scelga che tipo di insegnante essere. Di certo l’istituzione preferisce chi sa già cosa fare, ma nella scuola italiana vi è ancora la possibilità di essere un insegnante che ascolta e dialoga con gli studenti fino a cambiare traiettoria al proprio percorso educativo.