SCUOLA/ Istruzioni (ai presidi) per liberarla dal sindacalismo dominante

- Roberto Pellegatta

I ds possono essere agenti di cambiamento solo se affrontano le situazioni di crisi come opportunità di scelta. Spunti dall’ultimo convegno Disal. ROBERTO PELLEGATTA

scuola_docenti_protesta_2_lapresse_2016 LaPresse

Caro direttore,
mi permetto di sottolineare alcuni spunti emersi al nostro recente convegno.

1. Al termine del mese elettorale, durante il quale invano si è cercata la voce “scuola” negli impegni dei partiti, il convegno Disal a Torino ha allargato lo sguardo proprio a quel futuro di cui ha vitale necessità il mondo dell’istruzione e formazione. Le proposte dei partiti sono rimaste succubi della tipica diatriba sindacale “pro o contro la Buona Scuola”, segno non solo di povertà culturale, ma — ed è quel che conta — del basso livello di consapevolezza intorno al valore cruciale dell’istruzione per lo sviluppo della nazione. La recente riflessione sui quarant’anni di pubblicazione de Il rischio educativo di don Luigi Giussani ha offerto agli oltre cento presidi delle scuole statali e non statali serie ragioni per disegnare una “direzione educativa” (o leadership educativa, come l’anglo-dipendenza richiede) delle scuole come modello professionale, contro il prevalere nella professione solo di elementi formali.

Secondo Angelo Paletta (Università di Bologna) c’è, nei sistemi scolastici del mondo, una forte crescita di interesse verso la leadership educativa come modalità di direzione per una scuola buona. Ma per praticare questa scelta nel contesto istituzionale e amministrativo attuale ci vuole forte dose di coraggio, ha sostenuto Vincenzo Perrone (Università Bocconi): le ricerche internazionali dimostrano che i dirigenti scolastici possono essere agenti di cambiamento, ma solo se affrontano le situazioni di crisi come occasione per scegliere, per giudicare, unica possibilità per cambiare, scegliendo la via della “direzione diffusa”, cioè della collaborazione, cercando assieme con i docenti le motivazioni adeguate.

2.  La scuola è sempre stata un’istituzione estremamente conservatrice, ha sostenuto Francesco Pedrò, capo dipartimento delle politiche educative dell’Unesco, tutta incentrata sulle discipline. Ma “i problemi che i giovani pongono alla scuola ci costringono a guadare al cambiamento, che ha la sua radice proprio nell’essere attenti alla realtà dei ragazzi, prima ancora che ai mutamenti scientifici o sociali”. Pedrò ha ribadito che per l’uso delle nuove  tecnologie non si debbono abbandonare a sé stessi i giovani nell’uso: la vera innovazione esige nei docenti idee chiare. Tecnologia di per sé non è automaticamente innovazione, ma una grande opportunità che esige metodo, conoscenze e finalità.

3. Nel dialogo tra Giorgio Chiosso (Università di Torino) e Ludovico Albert (Fondazione per la Scuola di Torino) è emerso che “la scuola da secoli non è poi tanto mutata: aule, banchi, corridoio, lezione dalla cattedra, intervallo sono rimasti nel tempo”, mentre molto dell’apprendimento avviene fuori dalla scuola. Il cuore del cambiamento comunque, per Chiosso, sta nel superare la disaffezione e le debolezza professionale dei docenti alla scuola, dovuto a una professione poco desiderata e non più stimata. “La priorità della politica dovrà essere quella di curare la preparazione degli insegnanti, per attrarre alla scuola i migliori, nel contempo potenziando l’autonomia delle scuole”.

Lo scambio tra Beate Weyland (Libera Università di Bolzano) e Cesare Rivoltella (Università Cattolica di Milano) ha aiutato a rifuggire da sogni di edifici e strumenti futuribili, per “iniziare a co-progettare su come riqualificare gli spazi scolastici esistenti, per renderli belli, buoni nella fruibilità, giusti nella reale proporzione ai bisogni delle persone”. Rivoltella ha ricordato che “i ragazzi hanno fiuto” (Papa Francesco) e quindi da subito si accorgono di avere di fronte adulti significativi, cioè portatori di un patrimonio culturale e di una motivazione ideale. Occorre che docenti e dirigenti inizino ad agire non più come “impiegati pubblici”, ma da veri “intellettuali incompiuti” (Papa Francesco) perché, da “homini viatores” non pretendano di sapere tutto, di versare nella mente del discente tutto il loro scibile, ma sappiano farsi criticare e presentino un sapere falsificabile, quale metodo alla ricerca del sapere.

4.  Anche la scuola ha bisogno di una dirigenza non tecnocratica o burocratica, ma radicalmente educativa, perché questa è e sarà sempre la missione della scuola. Sempre risalendo a ricerche internazionali Paletta ha evidenziato come gli effetti dell’autonomia della scuole e delle decisioni di chi dirige condizionino positivamente l’apprendimento negli studenti. Non si tratta, però, solo di migliorare la qualità: va messa in gioco anche l’equità, senza ridurre l’attenzione solo a comportamenti misurabili, altrimenti si finisce per incentivare comportamenti opportunistici. “Gli apprendimenti migliorano — ha sostenuto Paletta — come effetto di una comunità: la responsabilità è comune e le leve da attivare sono anche il frutto di alleanze, del saper far crescere nel territorio l’interesse all’istruzione”. L’antidoto a comportamenti opportunistici è solo una leadership educativa condivisa, dove il dirigente scolastico fa crescere i proprio collaboratori, innanzitutto con la propria testimonianza. “In questo senso — ha concluso Paletta — il dirigente scolastico diventa vero imprenditore che lavora per il ‘rischio educativo’ della qualità e dell’equità”.

5. Ezio Delfino, nel tirare le fila dei lavori, ha ricordato come sia urgente l’essere testimoni di una nuova visione della scuola, tesi alla costruzione di una comunità professionale di adulti capaci di motivare. Le stesse realtà associative, vere e proprie compagnie professionali, hanno senso solo come aiuto a questo compito. Sono fonti di libertà culturale, contro un sindacalismo che imperversa sempre più, fino al recente tentativo di assorbire tutto il tema del merito nell’esercizio del proprio potere di controllo. 

Alla politica i presidi presenti hanno chiesto di valorizzare la professione direttiva e docente, ampliare spazi di autonomia e libertà formativa, saper valutare con modelli e strumenti adeguati l’esito delle scuole, ripensare una pianificazione territoriale che riveda l’ingigantimento delle istituzioni e sia più attenta alle difficoltà e alle differenze.





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