NEW YORK — Uno dei diritti più radicati nella storia degli Stati Uniti è quello alla libertà di parola, parte del primo emendamento della Costituzione.
A minacciare questa libertà è il nuovo fenomeno degli safe-spaces — o “spazi sicuri” — che negli ultimi anni si è silenziosamente infiltrato nei campus universitari. Il termina ha impiegato parecchio tempo ad acquisire una definizione stabile, ma un safe-space è essenzialmente un’area del campus dove studenti possono trovare “riparo” da idee e pensieri da loro ritenuti nocivi. Un safe-space può essere una vera e propria zona isolata per il solo scopo di “riparare”, o una classe ritenuta “sicura” dal professore. Ci sono università in tutta la nazione che danno corda a questa pratica, coprendo occhi e orecchie a gruppi di studenti che si sentono sottorappresentati, così difendendoli dal dannoso mondo esterno.
L’idea di safe-spaces è comunque nata da intenzioni positive: bullismo, comportamenti ignoranti e odiosi e atti violenti in campus universitari sono problemi reali che hanno causato e continuano a causare molta sofferenza. Ma ci siamo spinti troppo in là?
Il diritto di parola così intrinseco all’animo americano è ora talmente sotto inquisizione che alcuni professori arrivano fino a censurare la mitologia greca in classe, per paura di “innescare” studenti sensibili.
Il vero problema, però, è più profondo del bullismo o della mitologia censurata: stiamo perdendo la capacità di dialogare con tutto noi stessi e a tutto campo gli uni con gli altri. Senza riscoprire questo necessario principio umano, ci ritireremo sempre più nelle nostre bolle, auto-coccolandoci e diventando impreparati ad affrontare la realtà.
Letizia Mariani