In un maggio segnato dalle incertezze politiche post-elettorali, costellato di anniversari che rimandano ad un’epoca che appare lontana, ma di cui oggi gioverebbe un più leale bilancio (la contestazione del Sessantotto e la morte di Aldo Moro e, come ogni anno, la strage di Capaci), scorre il tempo della chiusura di quest’anno scolastico che per circa mezzo milione di studenti italiani segna l’approssimarsi dell’esame di Stato. Tempo di riunioni, verifiche, relazioni, burocrazia. Tempo di alternanza scuola-lavoro che di corsa ci si è affrettati a completare fino ad aprile.
Ed è in questo clima che con nota 24 aprile 2018 prot. n. 7194 il Miur fornisce chiarimenti in materia di alternanza scuola-lavoro. Il chiarimento dice così:
“Come è noto, ai sensi dell’articolo 1, comma 33 e seguenti, della legge 13 luglio 2015, n. 107, i percorsi di alternanza scuola lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono attuati, negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio. Tale disposizione, entrata in vigore nell’anno scolastico 2015/2016 limitatamente alle classi terze, risulta attualmente a pieno regime, coinvolgendo la totalità degli studenti delle classi terze, quarte e quinte attivate nel corrente anno scolastico. Ai fini dell’ammissione dei candidati interni all’esame di Stato, si osserva che, per l’anno scolastico 2017/2018, la normativa nulla dispone circa l’obbligo, per le studentesse e gli studenti, di aver svolto un monte ore minimo di attività di alternanza scuola lavoro nell’ultimo triennio del percorso di studi. Potranno essere ammessi all’esame di Stato, quindi, anche le studentesse e gli studenti che non hanno completato il numero minimo di 400/200 ore nel secondo biennio e nell’ultimo anno”.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa è l’alternanza scuola-lavoro che tante polemiche ha suscitato anche quest’anno? “L’Alternanza scuola-lavoro è una modalità didattica innovativa, che attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini di studentesse e studenti, ad arricchirne la formazione e a orientarne il percorso di studio e, in futuro, di lavoro, grazie a progetti in linea con il loro piano di studi” (fonte Miur). Già questa definizione si presenta carica di indicazioni che spesso le polemiche hanno ignorato o posto in secondo piano inquadrando la questione in termini che definirei sindacalistici (sfruttamento dei ragazzi e mancanza di retribuzione). Tuttavia in qualche misura la diversità di esperienze fiorite nei vari contesti hanno messo a fuoco la non scontatezza di alcune parole-chiave di questa definizione: esperienza pratica, sul campo, in linea con il piano di studi. In particolare i licei, non i professionali e tecnici, hanno dovuto affrontare una sfida veramente nuova ricca di difficoltà. Laddove queste difficoltà non hanno trovato un percorso adeguato, l’esito ha disatteso proprio i tre fattori indicativi sopra citati, rendendo l’alternanza un ennesimo adempimento, una scatola senza una significatività.
Ora, questa nota del Miur, come suona agli orecchi di quegli studenti che tra versioni di greco e latino e interrogazioni su Hegel e Marx, hanno speso alcuni pomeriggi di aprile nella corsa al completamento di ore di alternanza non sempre, appunto, coerenti con il loro piano di studi?
Come minimo essa è un tardivo ed ennesimo documento di una scarsa capacità di chi amministra la scuola di rendere un servizio a chi di quel servizio fruisce. Ma ancor più è una mazzata dal punto di vista educativo. Come dire: tutti i vostri sforzi fatti, il tempo dedicato per completare il percorso di alternanza poteva essere un po’ meno, per voi. Non c’era bisogno. L’obbligatorietà è dal prossimo anno.
Forse ancora una volta non ci si rende conto che il più grande nemico dell’educazione è il “fare”, fuori da un’ipotesi di senso. Non c’è violenza più grande che comunicare che un intero sistema può procedere senza senso. O, come profetizzava Orwell in 1984: oggi questo non ha senso, domani sì… Auguriamo al Miur una buona scelta delle tracce del (suo) esame.