Lunedì, mentre facevo la sorveglianza per la tanto temuta terza prova, definita ancora una volta “quizzone” dalle testate nazionali che ci aggiornano sull’andamento degli esami, mi sono resa conto che quella sarebbe stata l’ultima: dal prossimo anno va a regime la riforma dell’esame di Stato come da decreto legislativo 62/2017.
Mi rivolgo a una collega e le dico: “stiamo partecipando all’ultima terza prova della storia d’Italia”, e lei, di rimando, “non sappiamo: in Italia ciò che riguarda la scuola cambia o non cambia a seconda del governo…”. Dentro di me si è aperta allora una domanda: che senso ha, in fondo, una prova come questa? E poi: quale dovrebbe essere il senso dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione?
La terza prova, in effetti, riguarda quattro delle discipline studiate durante l’anno, diverse da quelle riguardanti la prima e la seconda prova scritta. Lo scopo è quindi quello di verificare con una prova scritta semistrutturata (due domande aperte e cinque quesiti a risposta multipla) se il candidato ha studiato i programmi delle discipline coinvolte. E qui verrebbe da dire: ma, il candidato non è lo stesso studente che ha superato prove scritte e orali durante l’anno scolastico, anche di quelle discipline, venendo poi ammesso agli esami anche da tre dei professori — i membri interni — della commissione? Sì. E infatti la prova è considerata un “quizzone” che richiede sostanzialmente, per la forma che ha, uno sforzo di memoria in cui dimostrare ancora una volta di avere studiato alcuni argomenti. Questo è accaduto per vent’anni.
Francamente, da insegnante, posso dire che la prova “rassicura” con uno scritto la valutazione dei due docenti esterni che si trasformano in docenti di quinto anno che esaminano sul programma dell’anno; ma per noi interni cosa aggiunge? Nulla.
Tornando alla risposta della mia collega mi verrebbe da dire: gentile ministro, vogliamo riflettere insieme sulla finalità dell’esame di Stato? Cosa deve accertare? Questo apre tutta una categoria di domande sul compito della scuola, su cosa significa insegnare, su chi ci aspettiamo che il ragazzino o la ragazzina spaurita che entra in classe al primo anno dovrebbe poter diventare nel corso dei cinque anni. Un ripetitore di nozioni, un atleta dei quiz o, innanzitutto, una persona competente, dotata di senso critico, di autocoscienza e autonomia, capace di rischiare il suo desiderio nel mondo?