Si sono chiusi da poco gli esami di Stato del primo ciclo d’istruzione, quelli della scuola media, tanto per intenderci. Nuovi, anche quest’anno. Perché si cambia sempre, ma forse proprio per non cambiare mai. Cosa c’era di nuovo? Intanto nessun presidente esterno: il preside della scuola dove si svolge l’esame è il presidente della commissione. Nessun controllore che controlli il controllato, insomma, o meglio: il controllato che controlla se stesso. Intanto sono stati presenti (e muti) agli esami i professori di religione o delle attività alternative perché al ministero hanno sbagliato a fare un copia e incolla e non sono riusciti a correggere l’errore nell’arco dei sei mesi successivi. Intanto, ancora, l’Invalsi non ne faceva più parte: le prove si sono svolte in aprile e non sono state considerate per la votazione finale degli alunni. Dunque, una prova in meno, quella più discussa e temuta, peraltro.
Poi sono arrivate le indicazioni per le nuove tracce di italiano, a scimmiottare un po’ quelle della maturità, a complicare il lavoro degli insegnanti per quest’anno scolastico: molto fumo e poco arrosto, che poi è rimasto quello degli anni precedenti con qualche aggiunta di spezie e condimenti che non hanno cambiato la sostanza. La prova di inglese e dell’altra lingua comunitaria sono state accorpate in un unica giornata, due prove distinte ma con un unico voto. Dunque un’altra votazione che sparisce.
Anche per le prove di matematica qualche ritocco, ma almeno lì rimane il suo bel voto. Poi c’è il colloquio, anche lui con il suo bel voto, anche lui con indicazioni che sostanzialmente lo lasciano com’era, tanto poi ogni scuola fa quello che vuole: tesine, power point, relazioni, criceti in gabbia e chi più ne ha, più ne metta, quando invece si tratterebbe di esporre con ordine e logica un percorso multidisciplinare che consenta di verificare conoscenze e competenze acquisite.
Ebbene questi voti si sommano, si fa una bella media e ne viene fuori un voto che a sua volta farà poi media con il voto di idoneità, o di ammissione. Dunque: il voto di ammissione vale il 50 per cento dell’esame. Come dire: certo facciamola ‘sta roba, perché si deve, ma sia ben chiaro che vale niente. Basta fare quattro conti: immaginiamo un alunno che prenda 5 nelle tre prove scritte e 5 nel colloquio, avrà cinque come media dell’esame; ma, essendo stato ammesso almeno con il 6 (anche in presenza di insufficienze in una o più materie, come contemplato nelle indicazioni ministeriali) avrà una media complessiva di 5,5. Si potrebbe obiettare che ciò non significhi raggiungere la sufficienza. Ma invece sì, perché le solite indicazioni ministeriali chiariscono che i decimali da 0,5 in su si arrotondano alla cifra superiore. Dunque: la media di 6+(5+5+5+5) fa… 6. Tutti promossi, insomma. Eccoci qui al Gattopardo: cambiato tutto, ma non è cambiato niente. L’imperativo era promuovere, l’ordine il successo formativo. E così è stato.
Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: chi è stato ammesso con 9 e fa splendidi esami e dimostra meravigliose capacità di gestire il colloquio, le conoscenze e le competenze acquisite, deve prendere 10 in tutte le prove se vuole uscire con 10. E magari in matematica però prende 9 e non ci arriva a quel 10.
Si può parlare di scuola parlando di numeri e cifre? Certo che no. C’è ben altro da dire: vogliamo parlare di come si arriva all’esame? Vogliamo parlare di come mai, arrivandoci in modi così diversi, l’esame continui ad avere valore legale? Vogliamo cercare di capire che cosa certificano in modo così oggettivo i certificati delle competenze che si consegnano dopo l’esame e che valore hanno? Magari sì. Ma magari una prossima volta.
(1 – continua)