Il tema degli immigrati continua a essere il punto forte, almeno sotto il profilo mediatico, della politica italiana. C’è tuttavia un’altra faccia della medaglia, una faccia nascosta e silenziosa, ma altrettanto, se non più importante. E’ quella del nuovo esodo degli italiani, un flusso di cittadini in continua crescita negli ultimi anni e che è composto di persone alla ricerca di un lavoro e di migliori prospettive di vita.
I numeri ufficiali parlano di 114mila persone che nel 2016 hanno lasciato il Paese, un livello che non si toccava dalla fine degli anni Sessanta. I numeri ufficiali riguardano solo quanti si iscrivono all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), ma svariati elementi fanno ritenere che molti lascino l’Italia rimandando di anno in anno per tante ragioni la formalizzazione del loro nuovo status. E infatti le statistiche tedesche o svizzere, che tengono conto immediatamente delle richieste di residenza e di permesso di lavoro, stimano un numero doppio di italiani che hanno scelto di vivere in un altro Paese.
È un esodo che non può essere sottovalutato, né per le dimensioni, né per le motivazioni. Ogni anno l’Italia perde la popolazione di un intero medio capoluogo di provincia, e quasi metà dei nuovi emigranti sono giovani: quasi 40mila tra i 18 e i 34 anni. Le ragioni sono quasi unicamente economiche: si cercano all’estero modelli lavorativi più accoglienti, meglio remunerati, maggiormente in grado di valorizzare merito e capacità. E’ un’emigrazione che si dirige soprattutto in Europa, con la Gran Bretagna in primo piano (oltre 24mila nel 2016), ma che ha cifre significative anche per l’America (15mila) e l’Australia (2.600).
L’analisi economica e sociale di questo fenomeno è messa in luce con pragmatico realismo da Enrico Pugliese, docente emerito di sociologia alla Sapienza, nel libro Quelli che se ne vanno (Il Mulino, 2018). “Questa nuova emigrazione – afferma Pugliese – continua a essere un fenomeno poco osservato, mal compreso e molto sottovalutato: non se ne prende atto forse perché nell’immediato si tratta di un fenomeno silenzioso che non crea problemi e non preoccupa. Se ne trascurano gli effetti sia sulle condizioni dei protagonisti sia nella realtà del Paese a cominciare dai cambiamenti della struttura demografica e del suo degrado soprattutto nelle regioni meridionali”.
Nella valutazione di questi movimenti è necessario, infatti, tenere conto di importanti elementi: per esempio, che all’emigrazione si accompagnano anche spostamenti all’interno, ancora soprattutto dal Sud al Nord, e che una parte rilevante dei nuovi emigrati ha un’istruzione di livello medio-alto, il che aggiunge al danno, derivante dalla perdita di questo “capitale umano”, la beffa, dato che l’Italia spende risorse importanti per formare professionalmente persone che poi vanno a portare le loro competenze a beneficio di altri Paesi.
Peccato che attuare politiche per evitare la nuova emigrazione non sia facile, né accattivante dal punto di vista dell’immediato consenso popolare. Il disagio sociale, comunque, è spesso tanto forte da portare migliaia di persone a votare con i piedi. Andandosene.