A giugno ho concluso un triennio di scuola media e, mai come come questa volta, mi è capitato di continuare un rapporto epistolare con diversi miei studenti che mi scrivono anche solo per salutarmi, mandarmi foto di sé, dei propri viaggi e dei nuovi amici che incontrano, corredandole di commenti commuoventi nella loro ingenuità (“Ha visto come sono cresciuto?” “Le piace il mio nuovo taglio di capelli?”); capita che mi raccontino semplici fatti della quotidianità che hanno suscitato in loro domande, osservazioni, perplessità, ma anche che mi chiedano consigli, dalla dritta su quali argomenti ripassare in previsione della nuova scuola da affrontare a settembre (“Ho poco tempo a disposizione: è meglio che ripassi la morfologia o la sintassi?”) a questioni più personali, come un parere su eventi politici o fatti che scuotono l’opinione pubblica agostana.
Tre episodi in particolare hanno colpito la mia attenzione, costringendomi a riflettere ancora una volta sul mio ruolo di docente e su che cosa costituisca il nucleo stesso dell’insegnamento.
Una studentessa mi invia una foto in cui campeggia a caratteri cubitali una celebre poesia di Ungaretti scritta a mano su un muro. La accompagna questo semplice commento: “L’ho trovata nella mia camera d’albergo!!”.
Un altro studente, che per tutto l’anno ho inutilmente richiamato affinché si mostrasse meno “esuberante” nel rapporto con le compagne, mi manda un messaggio via whatsapp dicendomi: “Prof, ho incontrato la ragazza giusta e questa volta faccio sul serio! Che cosa mi diceva sempre del rapporto tra Mandel’stam e sua moglie?”.
Infine ricevo il messaggio di un ex studente che mi racconta con malcelato orgoglio di aver partecipato in prima persona a un’animata discussione politica con amici dei propri genitori alla fine della quale il padre, ateo, di sinistra, ex sessantottino, stupito gli chiede dove abbia imparato un giudizio così articolato, seppur per certi aspetti distante dalla sua visione politica, sulla realtà contemporanea. E lui, stupito a sua volta di essere stato in grado di esprimere con tale chiarezza una idea tutta sua risponde dopo un po’: a scuola!
Questi tre semplici esempi hanno suscitato in me alcune riflessioni.
In primo luogo i ragazzi hanno bisogno di adulti certi di che cosa significhi educare, a partire dal senso etimologico del termine: e-ducere, tirar fuori ciò che già è presente in nuce, in primis il loro profondo desiderio di giustizia, amore, verità e bellezza.
Tale certezza accresce una reale stima nei confronti dei ragazzi, dal momento che emergono in loro domande di senso proprie del cuore umano in ogni tempo e in ogni luogo. L’educazione non teme la sfida lanciata dagli interrogativi sull’esistenza che prepotentemente emergono a partire dall’esperienza che essi fanno anche per quanto noi proponiamo loro, anche considerando che le risposte esistenziali che i ragazzi danno possono non corrispondere immediatamente alle nostre aspettative e ai nostri canoni anche morali.
L’educazione da parte di un docente, poi, non può che avvenire attraverso lo studio sistematico e approfondito delle discipline che insegna, altrimenti non si potrebbe più parlare di educazione ma dell’esatto opposto: indottrinamento, ovvero formulazione di tesi (magari anche corrette) che, non partendo da reali domande dei ragazzi suscitate dall’incontro con l’oggetto di studio, non possono essere sottoposte al vaglio della loro esperienza e che quindi non fanno fare loro un cammino di conoscenza. Unica preoccupazione del docente dovrebbe essere infatti quella di far parlare le discipline per quel che esse hanno da dire, in quanto ambiti di realtà, dotati per questo di un senso intrinseco, senza la preoccupazione di esaurire tutte le possibili implicazioni di un contenuto quanto piuttosto di renderlo accessibile alla comprensione, favorendo il sorgere di domande sempre più profonde e ampie, frutto di un serio confronto tra sé e il dettaglio di realtà posto allo studio.
Le osservazioni degli studenti sopra citati, infatti, nascono dalle domande sorte nel paragone, in diversi ambiti disciplinari, tra sé e i contenuti proposti: qual è il significato della parola poetica? Ecco che cosa sottintendevano i punti esclamativi dell’apparentemente scabro messaggio della mia alunna: se quel che ho studiato parla anche a perfetti sconosciuti al punto da sentire l’urgenza di scrivere questi versi in un luogo pubblico, allora vuol dire che Ungaretti sa parlare al cuore di tutti gli uomini, quindi ha senso studiare letteratura perché essa veicola il senso della realtà.
In che cosa consiste l’essenza di un rapporto d’amore come quello tra il poeta russo Josip Mandel’stam e sua moglie Nadesda? Ella, infatti, dopo avergli perdonato le continue infedeltà, consapevole che il rapporto con lui era segno fortissimo del rapporto con l’Infinito, e per questo fatto per un compito, per 30 anni ne ha mandato a memoria le poesie, recitandole tutte le notti senza scriverle mai per non incappare nella rigida censura sovietica, affinché nulla della straordinaria opera poetica del marito, nel frattempo morto in un gulag, andasse perduta.
Perché mi interessa la situazione politica attuale? Studiando storia ho scoperto che essa non è uno sterile insieme di fatti e di date ma il frutto dell’impegno quotidiano di uomini come noi.
Nella mia esperienza di docente educare significa spalancare la ragione — intesa come armoniosa fusione di mente e cuore — dei ragazzi che ci sono stati affidati, affinché possano imparare nel tempo una reale affezione alla realtà nella sua totalità.