SCUOLA/ Come difendersi dai nemici dell’autonomia sempre risorgenti

- Maria Paola Iaquinta

In Italia il centralismo, mai sconfitto, tende continuamente a soffocare l’autonomia, svuotandola del suo valore. All’estero invece ha un ruolo centrale. MARIA PAOLA IAQUINTA

scuola_ministero_istruzione_miur_lapresse La sede del ministero dell'Istruzione (LaPresse)

L’autonomia rappresenta davvero oggi un valore per il sistema scolastico italiano? Si tratta di una domanda a cui è difficile rispondere. Secondo quanto riportato nel sito ufficiale del ministero dell’Istruzione, l’autonomia delle istituzioni scolastiche rappresenta un quadro di riferimento irrinunciabile per il raggiungimento del successo formativo, cioè per la transizione delle giovani generazioni dal sistema educativo d’istruzione all’inserimento sociale nel mondo del lavoro: “l’autonomia è lo strumento e la risorsa attraverso cui adottare metodi di lavoro, tempi di insegnamento, soluzioni funzionali alla realizzazione dei piani dell’offerta formativa e alle esigenze e vocazioni di ciascun alunno”.

Sono molteplici le istituzioni scolastiche in Italia che riescono a dar vita a brillanti contesti di apprendimento, in cui tutti gli alunni, grazie alla personalizzazione della proposta educativa, esprimono al meglio le proprie potenzialità. In particolare, alcune scuole nei contesti sociali “a rischio”, così detti a causa degli alti indici di disagio minorile, mettono in moto sinergie ed impegni personali straordinari utilizzando le limitate risorse economiche e strutturali disponibili e sottraendo bambini e ragazzi alla piaga della dispersione scolastica.

L’autonomia scolastica, laddove attuata, dà la possibilità di rendere operativa una comunità di apprendimenti in cui si realizzi appieno il dettato costituzionale sancito nell’art. 4 della legge fondamentale dello Stato, secondo cui ogni cittadino, grazie al percorso di istruzione, ha diritto ad esser messo in condizione in età adulta di offrire il proprio contributo lavorativo a favore del miglioramento sociale della collettività.

A fronte di queste esperienze, presenti in numerose scuole italiane grazie allo strumento dell’autonomia scolastica, che cosa dovrebbe essere fatto a livello governativo affinché i processi di miglioramento possano essere replicati nel tempo in modo sistematico? Sicuramente valutare positivamente e con fiducia lo sforzo dei singoli che desiderano essere riconosciuti come componenti di una comunità educante: l’attuazione di una “buona scuola” passa dalla valorizzazione delle autonomie secondo logiche di sussidiarietà costituzionalmente riconosciute. L’eccessivo centralismo fa seriamente correre il rischio di perdere di vista bellezza e risorse dei territori locali, contribuendo a trascurare le criticità culturali purtroppo ancora presenti nelle periferie del paese, per le quali dovranno prima o poi essere programmati interventi di sistema ad hoc all’interno dei singoli contesti formativi integrati. Anche le statistiche in tema di criminalità minorile e la cronaca quotidiana portano senza sosta alla luce del sole gli urgenti bisogni di cittadinanza ancora insoddisfatti di molti ragazzi italiani che vivono nei contesti sociali difficili. Si tratta di territori in cui i lavoratori della scuola si impegnano incessantemente al meglio di ciò che è possibile fare, considerate le limitate risorse di cui si dispone, ma in cui non si riescono a produrre risultati duraturi a causa della mancanza di investimenti e di politiche integrate in sinergia a lungo termine sul territorio. 

Che l’autonomia e la sussidiarietà in educazione rendano migliori risultati rispetto alle logiche centralistiche viene confermato da numerose esperienze estere. In Finlandia, ad esempio, opera un sistema di forti autonomie locali nel campo dell’istruzione che operano in sinergia e che permettono la tenuta ai primi posti degli esiti di apprendimento dei ragazzi nell’ambito delle classificazioni internazionali Ocse-Pisa. 

Grazie al progetto “Valutazione e Leadership in Europa”, inserito nel Programma Erasmus+ Azione Chiave 1 2017, nello scorso mese di maggio alcune delegazioni di presidi ed insegnanti siciliani hanno avuto la possibilità di visitare il sistema scolastico finlandese per verificare a quali condizioni l’autonomia scolastica permetta di raggiungere i risultati diffusi di equità e giustizia sociale che emergono sistematicamente in Finlandia nelle rilevazioni internazionali degli ultimi anni. 

Durante una settimana di visite a diverse istituzioni scolastiche in varie zone del paese, si è potuto apprezzare lo sforzo corale che viene attuato dalle componenti del sistema formativo integrato per realizzare in ogni territorio “una scuola di quartiere” destinata a tutti i ragazzi che abitano nella zona, quali che siano le condizioni culturali e socio-economiche delle famiglie di appartenenza. Attraverso il leitmotiv di politiche integrate locali, coordinate e garantite dal sistema centrale, in cui vengono posti al centro del buon funzionamento scolastico sia l’alunno sia il docente, si realizza un sistema pubblico di istruzione caratterizzato dalla totale gratuità dell’offerta formativa nella fascia dell’obbligo e dalla grande cura sia nella formazione del personale docente sia nell’organizzazione degli ambienti di apprendimento. A tale riguardo, estremamente degna di nota è la realtà della “Opinmaki school and learning center” situata ad Espoo, nell’area metropolitana della regione di Helsinki. La scuola, ideata dal giovane e già affermato architetto finlandese Esa Ruskeepää, sorge in una zona di periferia in espansione demografica e rappresenta un vero e proprio gioiello dell’architettura di comunità, luogo in cui i principi legislativi di uguaglianza e di libertà contenuti nella Costituzione finlandese si incarnano nella vita culturale ricca e vivace di alunni e docenti al servizio del loro territorio. 

Restano oggi valide le riflessioni già espresse da Norberto Bottani in un breve saggio sulla scuola finlandese (“La riforma che ha cambiato la scuola in Finlandia”, 2015): “Il sistema scolastico finlandese non è un sistema all’avanguardia. E’ solo un sistema basato sul buon senso, sulla qualità, sull’alta professionalità del personale che vi lavora. Non è neppure un sistema alternativo. La sua originalità consiste nell’avere adottato su larga scala le teorie scientifiche dell’apprendimento elaborate nel corso del XX secolo e di avere puntato sull’istruzione come investimento di base in un paese privo di risorse naturali, la cui unica ricchezza sono le foreste e la pesca. Non ci sono materie prime in Finlandia. Il sistema scolastico finlandese è semplicemente un buon sistema scolastico, un sistema scolastico onesto, che non segue le mode, che dà fiducia alla gente. Vi opera gente modesta ma competente, che non si dà grandi arie, che stimola, incoraggia, promuove la creatività, il rischio. Poche cose, ma senza prezzo”.

Come fare dunque per rilanciare in Italia l’autonomia scolastica e potenziare le esperienze di formazione che garantiscono equità ed inclusione per tutti? 

A tre anni dalla 107, la legge sulla “Buona Scuola”, con cui il precedente governo contava di imprimere un miglioramento significativo nel sistema scolastico italiano, è doveroso un ripensamento da parte degli organi politici volto a valorizzare le autonomie dei territori per porre argine alla deriva centralistica e burocratica verificatasi a carico delle istituzioni scolastiche autonome nell’ultimo triennio. Le scuole continuano ad essere sommerse in ogni periodo dell’anno da richieste di dati, rilevazioni, indagini, adempimenti amministrativi con tempistiche strettissime per procedimenti che nulla hanno a che fare con l’autonomia scolastica (si vedano i recenti e continui aggiornamenti delle graduatorie di istituto che avrebbero già dovuto scomparire da un pezzo secondo le precedenti indicazioni governative).

Inoltre, negli ultimi anni, alle scuole e direttamente alla responsabilità personale dei presidi sono stati rimessi tutta una serie di compiti che poco hanno a che fare con gli esiti scolastici, quali, ad esempio, la sicurezza dei locali, la dematerializzazione amministrativa, la gestione amministrativo-contabile del personale, la rappresentanza dell’Amministrazione in giudizio, e, addirittura il controllo sanitario in tema di vaccini. Tutto questo, come ovvio, sottrae tempo prezioso ai processi di miglioramento della didattica, che andrebbero pure coordinati dal dirigente scolastico, oggi sempre meno leader educativo e sempre più burocrate amministrativo.

Insomma, occorre considerare i risultati sin qui raggiunti dalle innovazioni di legge, prendendo atto che l’autonomia resta la grande incompiuta del sistema scolastico italiano. Al di là dei buoni propositi e delle petizioni di principio contenuti nelle varie leggi di riforma, è necessario ed urgente valorizzare il lavoro di cura e sviluppo realizzato dalle singole comunità scolastiche sia dotando i presidi delle leve necessarie per il buon funzionamento del Piano dell’offerta formativa sia dando fiducia e risorse ai singoli territori che conoscono appieno le esigenze di miglioramento sociale dei loro cittadini. In questo campo occorre innanzitutto promuovere azioni integrate a favore delle scuole autonome a cura degli Enti sul territorio che assicurino sicurezza e regolare funzionamento del servizio pubblico anche nei contesti a rischio in cui la criminalità rischia di condizionare pesantemente il funzionamento delle scuole pubbliche spogliate dei loro beni da danneggiamenti e furti continui, a causa del perpetrarsi di azioni criminose cui nemmeno le forze dell’ordine riescono a far fronte, impegnate come sono in altre gravi urgenze di controllo del territorio. In tale degrado sociale la “buona scuola” diventa solo la scuola delle buone intenzioni, dei bei discorsi. Occorre un nuovo patto di fiducia e di impegno tra sistema centrale e sistemi formativi integrati locali per far sì che la “buona scuola” torni ad essere presente, oltre che nelle carte, anche nella vita quotidiana delle comunità scolastiche autonome.







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