Da anni si riaccende ogni tanto la discussione sul tema “bocciatura sì bocciatura no”; e un’iniziativa per abolirla nei primi otto anni di scuola – dove è già un’extrema ratio – è fortunatamente abortita per l’opposizione della ministra Fedeli. Ma non è al riparo da queste intenzioni neppure la scuola superiore, nella quale anche don Milani ammetteva la bocciatura (“Si costruiscono cittadini specializzati al servizio degli altri. Si vogliono sicuri”).
Molti sono abolizionisti perché poco inclini alla valorizzazione del merito e tendono a rifiutare le valutazioni negative per le loro conseguenze. Però neppure il più acceso anti-abolizionista può negare in scienza e coscienza che far ripetere l’anno, cioè tutte le materie, di fronte ad alcune insufficienze sia un sistema poco soddisfacente, anche se in genere è il minore dei mali rispetto a una promozione inopportuna.
Il dilemma è noto. Se lo studente non viene promosso, potrà recuperare conoscenze e competenze non acquisite, ma dovrà ristudiare da capo anche le discipline in cui non aveva problemi. E se è vero che per non pochi ragazzi essere bocciati ha costituito un’occasione per riconquistare senso di responsabilità e conseguente impegno, in altri questo può causare frustrazione e scoraggiamento o spingere addirittura all’abbandono, soprattutto se l’insuccesso si ripete e se la famiglia non è in grado di sostenerlo con ripetizioni private. Se invece gli vengono “condonate” le materie insufficienti per evitare la bocciatura, lo studente si porterà dietro una preparazione lacunosa; e per di più sarà portato a pensare che studiare tutte le discipline non è poi così necessario.
Venendo alla “sospensione del giudizio” (così il ministro Fioroni ribattezzò, reintroducendoli, gli esami di riparazione), se è sempre meglio di niente, è anche vero che il dilemma bocciare/non bocciare si ripropone molto spesso anche a settembre. Quanti consigli di classe se la sentono oggi di far ripetere l’anno per una materia o magari due, anche quando è evidente che il rimandato non ha aperto libro? L’ovvio risultato sarà quello di rafforzare la tendenza a prendere sotto gamba future “sospensioni del giudizio”.
Di fronte a questo evidente stallo, l’abolizione pura e semplice della bocciatura sarebbe un rimedio peggiore del male, cioè l’anticamera di un ulteriore occultamento delle carenze. Non c’è corso di recupero o sforzo di variazione nella didattica che possa rendere superflui gli esami e le verifiche rigorose. La maggioranza degli studenti avrà sempre bisogno di questo per impegnarsi sul serio e per capire a che punto si trova. L’amore per lo studio è un grande dono o una grande conquista, ma è illusorio fondarvi a priori un sistema scolastico.
La soluzione che proponiamo come “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità” è un’organizzazione delle scuole superiori basata su corsi disciplinari invece che sulla successione delle classi. In altre parole, come si legge nel documento reperibile sul nostro blog, “non si passerebbe più dalla prima classe alla seconda e così via, ma dal primo al secondo corso di italiano, dal primo al secondo di matematica e via dicendo”. Ogni corso termina con un esame. Non c’è più quindi la bocciatura completa, ma si potrà essere bocciati negli esami che concludono i corsi, con la possibilità di ripetere l’esame dopo un certo tempo oppure il corso stesso in caso di nuovo insuccesso o di preparazione gravemente carente.
Non siamo entrati volutamente nei dettagli, ma la struttura didattica somiglia un po’ a quella universitaria, oltre che al sistema finlandese delle scuole superiori, a cui la nostra ipotesi (che è poi uno schema generale da studiare nei particolari) si ispira. C’è chi ne ha dedotto la liquidazione della classe intesa come gruppo di riferimento, notoriamente importante per gli adolescenti. Ma la scuola non è l’università e il gruppo classe non solo è bene che rimanga, ma il suo mantenimento sarebbe probabilmente reso inevitabile anche da motivi di semplificazione organizzativa.
Infatti, come oggi è in genere impossibile far scegliere la sezione, soprattutto quando alcune sono molto più richieste e altre meno, così sarà nella nuova organizzazione rispetto ai corsi. La soluzione più logica è dunque quella di costituire ugualmente dei “gruppi classe” i cui membri dovranno tutti seguire lo stesso corso di italiano, lo stesso di latino, di inglese, eccetera.
In questo modo non cambierebbe nulla sul piano della relazione con i compagni e i docenti sarebbero per tutti gli stessi. Solo che, a differenza di quanto è successo fino a ora, la composizione dei gruppi non cambia, come succede oggi, quando si perdono o si acquistano dei ripetenti “totali”, ma a seconda delle materie. In parole povere, Giuseppe Bianchi, bocciato a italiano e inglese, i suoi compagni non lo vedranno più nei corsi successivi di queste materie, ma negli altri corsi resterà con loro. Si potrebbe quindi verificare addirittura una maggiore continuità di rapporto fra compagni di classe.
D’altra parte, nell’ipotesi che i corsi siano di durata annuale, magari con esami intermedi, la “sospensione del giudizio” acquisterebbe ben altra serietà. A chi non volesse rifare il corso, potrebbe infatti essere offerta la possibilità di corsi estivi intensivi per poi ripetere l’esame a settembre; con la grossa differenza che nella nuova situazione l’interesse a darsi da fare sarebbe molto forte, venendo a mancare il ricatto emotivo insito nel far ripetere l’anno in tutte le materie per una sola insufficienza.
Una scelta di questo genere, dunque, costituirebbe una grande opportunità per ridare efficacia al nostro sistema istruzione. Naturalmente non si tratta di qualcosa che è possibile attuare senza un’approfondita preparazione. Da parte nostra non abbiamo voluto “appendere” a questa ipotesi altri cambiamenti, come in genere si usa col risultato di fare tutto male o di non riuscire a fare niente. È solo uno “schema di gioco”, che oltre a superare, ma nel senso della serietà, il problema delle ripetenze, promette di essere efficace nel combattere la dispersione e di rendere più credibili le valutazioni. Gli studenti sarebbero più responsabilizzati e diventerebbe più semplice l’istituzione di corsi opzionali, per esempio in vista della scelta universitaria.
Un orientamento in questo senso del Parlamento e del Governo dipenderanno molto anche da quanto i colleghi e i dirigenti degli istituti superiori apprezzeranno e faranno propria questa proposta.