Gli Stati Uniti pattinano su un ghiaccio sottile e si vedono ormai le prime crepe. Il Wall Street Journal sulla prima pagina ha pubblicato un preoccupato articolo sullo stato di salute dell’economia interna. La notizia principale nell’edizione di ieri era la minaccia di usare la guardia nazionale contro le proteste violente a Los Angeles, mentre Trump ha chiamato tutti i suoi ministri a un vertice domenicale per fare il punto dello stato d’animo nell’Amministrazione dopo la clamorosa rottura con Elon Musk.
“State con me o con lui?”. Il Presidente non si aspetta clamorosi voltafaccia, ma le minacce di Mr. Tesla lo inquietano; tutti erano convinti che non sarebbero andati d’accordo a lungo, nessuno immaginava che la strana coppia sarebbe scoppiata tanto presto.
Subito dopo le proteste nella “città degli angeli”, sul quotidiano di Rupert Murdoch spiccava l’articolo intitolato: “L’economia degli U.S. si è avviata verso un’inquieta estate”. Mercoledì verranno diffusi i dati sull’inflazione sotto osservazione da parte della Federal Reserve, che a maggio ha lasciato i tassi di riferimento invariati tra 4,25% e 4,5%, anche se i prezzi crescono poco più del 2%. Vedremo se le preoccupazioni prenderanno corpo; intanto, i sintomi registrati dal WSJ sono già molto preoccupanti, a cominciare dall’occupazione.
Le ultime rilevazioni ufficiali, quelle di maggio, erano ancora positive: 139mila posti di lavoro in più e un tasso di disoccupazione molto basso, tra il 4% e il 4,2%. Ma da allora in poi le imprese hanno cominciato a congelare le assunzioni e gli investimenti. Troppo confusa la situazione politica, troppo allarmanti le ricadute dei dazi. Ci si aspetta che i tassi d’interesse restino alti e i prezzi salgano a mano mano che la tassa sulle importazioni viene scaricata sui prezzi finali dei prodotti.
L’industria americana non è autosufficiente, deve importare non solo prodotti finiti, ma componenti fondamentali dall’Asia, dalla Cina e anche dall’Europa. L’inchiesta del giornale ha registrato molti pareri di imprenditori ed emerge una sorta di effetto imitativo: anche chi non è direttamente colpito si mette al coperto, non rischia di assumere per poi dover licenziare e non spende in macchinari senza sapere come e quanto potrà utilizzarli. È buon senso, un atteggiamento razionale di fronte a politiche ed eventi troppo spesso irrazionali.
Per lo più ci si aspetta che i consumatori reagiscano allo stesso modo. La domanda interna continua a tenere, aiutata dal deficit pubblico con spese a go-go e riduzione delle tasse soprattutto sui contribuenti a reddito medio-alto. Ma il debito allarma Wall Street e comincia a diventare un problema anche per Main Street, a causa del suo impatto nevrotico sulla borsa (gli investimenti finanziari negli Stati Uniti sono una parte molto rilevante dell’impiego del reddito anche nella classe media). Lo scontro tra Trump e Musk, al di là del conflitto tra due ego spropositati, è avvenuto proprio sul bilancio e sulla legge finanziaria approvata dalla maggioranza repubblicana.
Un segnale particolarmente negativo viene dal mercato immobiliare. Qui ci sono ormai mezzo milione di venditori in più rispetto ai compratori, ciò riduce i prezzi, ma anche i guadagni. Jason Thomas, capo economista del Carlyle Group, ammette: “Non possiamo rischiare di peggiorare le relazioni con i nostri clienti e con i fornitori per seguire le scelte di una politica che in due mesi magari non ci sarà più”. La parola d’ordine, dunque, è aspettare che passi la tempesta.
Se l’economia americana si avvierà davvero verso una recessione, sia pur moderata, l’impatto sull’Europa e sull’Italia sarà negativo. La Bce ha ridotto i tassi di riferimento di un altro quarto di punto, toccando così il 2% che mette in linea il costo ufficiale del denaro con l’andamento dei prezzi (l’inflazione media a maggio è stata dell’1,9%).
Christine Lagarde, che ha escluso di lasciare in anticipo per andare a dirigere il forum di Davos, ha detto che “la Bce giunge alla fine del ciclo di politica monetaria che rispondeva a degli shock che si sono sommati l’un l’altro, incluso il Covid, la guerra in Ucraina e la crisi energetica”, ribadendo che siamo ora “ben posizionati” per navigare in acque di “estrema incertezza. Decideremo a seconda dei dati”.
La crescita resta tuttavia modesta: quest’anno sarebbe inferiore all’1%, secondo le stime della banca centrale. A far da traino sono gli investimenti e la spesa per la difesa, le esportazioni sono in calo e la domanda interna è fiacca. Insomma, anche da questa parte dell’Atlantico lo stato d’animo di chi lavora e produce è dominato da incertezza e confusione. E l’Italia non fa eccezione.
L’ultimo sondaggio confindustriale mostra che le imprese italiane sono meno pessimiste, tuttavia la crescita resta bassa (attorno allo 0,6% in ragione annua); le famiglie hanno recuperato potere d’acquisto, ma non abbastanza per compensare la perdita subita con l’inflazione. Gli investimenti privati ristagnano e quelli pubblici dipendono da un Pnrr che procede a fatica e verrà rivisto ancora una volta per attingere risorse da destinare a incentivi per gli investimenti delle imprese; una richiesta sulla quale la Confindustria non smette di insistere.
I conti pubblici sono sotto controllo e l’Italia non ha bisogno di manovre aggiuntive, sottolinea l’Unione Europea; ha bisogno però di una spinta, altrimenti anche qui l’estate non sarà molto confortevole.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.