“Sprechiamo il nostro tempo in cose inutili. Ansie, gelosie, frustrazioni. Nel dolore non mi sono mai arrabbiata perché il mio cuore e la mia anima si allargano ancora di più. Credo ad un ordine superiore delle cose”.
Non conoscevamo Eleonora Giorgi se non per qualche film che fece cassetta negli anni Ottanta e che la videro protagonista. Bellissima, la voce un po’ roca, brava attrice (un David di Donatello per “Borotalco” di Carlo Verdone), icona sexy negli anni giovanili, una vita famigliare non semplice fra amori fluttuanti e il miraggio della droga. A suo modo rappresentante di un mondo di celluloide spesso effimero e superficiale.
Per questo motivo le sue parole raccolte poche settimane fa da Radio Rai e rilanciate ieri alla notizia della morte mi hanno sorpreso come può capitare solo a chi crede di conoscere e pensa per stereotipi, specialmente se di mezzo c’è una bella donna, complici gli sfacciati “red carpet” tutti lustrini, sorrisi e scollature di Cannes, Venezia, Hollywood.
Non andiamo ad indagare il passato di Eleonora Giorgi, limitiamoci al presente, alla donna consapevole di avere un tumore devastante, ma che non mostra di soffrire la lontananza dal set, dalle luci della ribalta, dai flash dei fotografi, dalle interviste “obbligate” in prossimità dell’uscita di un film, dalle fotografie in prima pagina. Tutte cose di cui ha goduto in fama e ricchezza, certo, ma che sono passate.
Presentarsi al pubblico – ancora bella, anche se di una bellezza che doveva dipendere molto dai medicinali – non per dire le solite banalità (tante, troppe ne hanno già dette i suoi colleghi alla notizia della morte), ma per ammettere gli errori e spronare ascoltatori e lettori a non ripeterli, occorrono lucidità, consapevolezza e coraggio.
Dire apertamente che non bisogna sprecare il tempo “in cose inutili”, parlare di anima, ammettere di credere in un “ordine superiore” (non l’ha chiamato Dio, ma c’è andata vicino) significa andare controcorrente rispetto alla società in generale e ancor più a un mondo della cultura (e dello spettacolo in particolare) che raramente nelle opere che produce si pone domande sul senso della vita e della morte.
Non ho la tentazione di elevare Eleonora Giorgi, di cui domani pomeriggio si svolgeranno i funerali (religiosi) a Roma, la sua città, a modello di bontà, resipiscenza o altro. Solo sottolineare come nell’ora più difficile abbia saputo lanciare un messaggio positivo nonostante la sofferenza e l’orizzonte buio. Non è da tutti, forse ancor meno da chi per una vita s’è probabilmente nutrita d’altro.
Se qualcuno dei suoi colleghi (magari come Celentano, che ieri ha parlato della sua malattia come di “un atto d’amore”) sapesse ricordarlo pubblicamente farebbe un regalo a tutto il cinema e non solo.
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