Il Pd vincerà le elezioni comunali 2025 aggiudicandosi Genova, Taranto, Ravenna, Matera. Ma non sarà una dote politica spendibile. Anzi
Le elezioni comunali 2025 che si apprestano ad essere celebrate vedranno con molta probabilità l’affermazione netta del Pd e della sua coalizione nei pochi capoluoghi dove si andrà al voto. Non è certo una novità che i partiti di centrosinistra abbiano un feeling particolare con gli elettori delle città maggiori e la coalizione costruita, molto spesso anche con i 5 Stelle, risulterà vincente a Taranto, come a Matera, come a Genova.
La questione è capire se questa vittoria annunciata sia un piccolo capitale da far fruttare o piuttosto rappresenti invece una lente distorta da utilizzare solo con finalità propagandistiche. Se infatti il centrosinistra dialoga con maggiore semplicità con i ceti dei centri urbani maggiori, anche riuscendo a selezionare una leadership territoriale più credibile, è ancora tutto da scoprire che cosa accadrà quando gli scenari saranno diversi.
Gli stessi referendum che ci si appresta a celebrare, quasi in sordina, paiono non aver riscaldato più di tanto i cuori in termini di propensione al voto, che secondi i sondaggisti si attesterebbe intorno al 40%. Una percentuale che li confinerebbe nell’irrilevanza istituzionale.
Come già detto, i voti per il Sì ai quesiti verranno immediatamente accreditati dal Pd alla grande coalizione con i 5 Stelle per poter gettare le basi di una sfida elettorale tutta da costruire, però, in termini di leadership. Sia ben chiaro che per leadership non si intende solamente chi sarà il leder che guiderà l’eventuale coalizione, ma più che altro quali sono i valori fondanti che si metteranno alla base un’ipotetica coalizione per poter presentare agli elettori una proposta elettorale credibile.
Di conseguenza la vittoria del Pd alle imminenti elezioni comunali potrebbe non avere peso politico. Dopo il voto ciascuno andrà per la sua strada, fino a che potrà, sostenendo le proprie tesi, cercando di capitalizzare il proprio consenso.
Perciò la capacità di fare sintesi del centrodestra anche di fronte a profonde divergenze è ancora il vero avversario da battere rispetto alla natura divisiva e spesso inconciliabile che gli attori del teorico campo largo hanno manifestato di avere in diverse occasioni.
È da decenni che la dicotomia tra il governo locale del Pd e dei suoi alleati e l’incapacità di fare sintesi a livello nazionale viene studiata, ma difficilmente si è trovata una spiegazione che riesca a far emergere anche una chiave di soluzione del problema. Questa volta dovrebbero provare quantomeno a domandarsi se non si è opportuno affrontare il problema un po’ in anticipo piuttosto che farlo a pochi mesi dalle elezioni.
Ed una parte del Pd sicuramente è alla finestra, in attesa che i risultati del referendum da una parte e lo scenario internazionale dall’altra facciano più chiarezza su chi comanda davvero nel Pd e con quali ambizioni. Se ai referendum andasse a votare troppa poca gente e se l’alleato Giuseppe Conte continuasse a tenere atteggiamenti ambigui nei confronti di Putin, si sbriciolerebbe di fatto la leadership dell’attuale segretaria e della sua struttura di consenso. Probabilmente un congresso anticipato che la stessa Schlein sarebbe in qualche modo chiamata a dover celebrare.
Le frasi di circostanza e le dichiarazioni di vittoria delle prossime ore per aver conquistato alcuni capoluoghi di provincia vanno lette perciò anche nell’ottica di una sorta di training autogeno a cui l’attuale dirigenza vuole obbligare l’intero Pd ma a cui, con tutta onestà, in tanti neppure credono più.
I nodi politici sono e restano tutti aperti e l’attuale consenso del Pd è a livelli troppo bassi per potersi immaginare autosufficiente in un scenario elettorale di contrasto a Giorgia Meloni ed alla sua coalizione.
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