Elon Musk si è reso nuovamente protagonista lanciando un attacco netto e senza mezze misure ai media statunitensi, accusandoli apertamente di orchestrare un linciaggio mediatico basato su presunte fake news che lo ritrarrebbero come simpatizzante dell’estrema destra: in un’intervista concessa a Fox News, il magnate ha definito “oltraggiose” le critiche che gli sono state rivolte, prendendo di mira in particolare un servizio della CNN che lo avrebbe collegato a correnti neonaziste, una narrazione – secondo lui – costruita ad arte con la finalità di mettere in atto un circolo diffamatorio nei suoi confronti.
Il meccanismo – ha spiegato – ricalcherebbe i metodi della propaganda di regime secondo cui si prende una menzogna, la si ripete ossessivamente, e la si trasforma in verità per il pubblico generalista; il conflitto però non nasce dal nulla ma è il frutto di mesi di tensioni crescenti, da quando Musk ha acquisito Twitter (oggi X) nel 2022 e iniziato a ribaltare le regole del gioco digitale ripristinando profili sospesi di suprematisti bianchi, condividendo contenuti ambigui su Hitler e Stalin e partecipando a eventi promossi da partiti ultranazionalisti europei – come l’Alternative für Deutschland in Germania.
Elon Musk ha così generato non solo critiche, ma anche una vera e propria ondata di diffidenza e a questo si somma il suo ruolo nel DOGE – un’agenzia governativa voluta da Trump per “snellire” la burocrazia americana – e che molti vedono come un cavallo di Troia dell’autoritarismo, ma ad ogni modo, il CEO di Tesla continua a difendersi affermando a spada tratta di essere solo un facile capro espiatorio, uno schermo mediatico dietro cui nascondere i problemi reali del Paese.
Elon Musk tra vittimismo e strategia: il calcolo politico dietro la guerra all’establishment
La battaglia di Elon Musk contro i media si inserisce in un contesto ben più ampio, ovvero quello della guerra culturale in corso negli Stati Uniti tra élite progressiste e populismo conservatore: il miliardario ha paragonato il suo trattamento a quello riservato a Donald Trump – anche lui, a suo dire, accusato ingiustamente di simpatie naziste – tentando così di ricalcare il profilo di una vittima eroica che combatte per la libertà d’espressione.
Si tratterebbe di una strategia elaborata ma declinata in chiave digitale: controllando X, Elon Musk può infatti bypassare i media tradizionali e costruire un ecosistema narrativo alternativo, modellato secondo la sua visione ma – discapito di ciò – le proteste degli oppositori continuano ad aumentare giorno dopo giorno e le sue auto vengono ribattezzate swasticar dai detrattori più radicali mentre il suo team riceve minacce di morte sempre più frequenti.
Come accadde a Steve Jobs negli anni ’80, anche per Elon Musk il talento imprenditoriale non basta a proteggere dall’usura dell’immagine pubblica soprattutto quando si decide di affacciarsi al panorama politico in modo così aggressivo; ora, la vera questione è capire se questa sua battaglia contro i media americani rappresenti l’ultimo colpo di coda di un visionario perseguitato o piuttosto l’inizio del declino di una figura diventata troppo grande per essere ignorata.