L’anziano cantante è seduto sul solito sgabello mezzo rotto. Davanti a lui lo stesso pianoforte che lo ha accompagnato per anni, da quando, vista l’età e le malattie che lo colpiscono, ha dovuto smettere di andare in giro di città in città a suonare. E’ mezzo scordato, alcuni tasti rotti, ma chi se ne frega. Lui è Mr. Bojangles, il cantante che da ragazzo si fermava agli angoli di strada a ballare e a cantare antiche canzoni della sua gente, lo faceva perché lo rendeva felice farlo ed era felice di vedere la gente che si fermava, felice anch’essa, a guardarlo qualche minuto, poi gli lanciavano una moneta nel cappello sdrucito e tornavano all’ansia e allo stress delle occupazioni quotidiane. Ma per qualche minuto erano stati contenti, si erano staccati da tutto e da tutti e avevano guardato e ascoltato quel ragazzo che trasmetteva gioia, serenità, bellezza.
Mr. Bojangles ne aveva combinate di tutti i colori. Aveva preso il vizio di bere e anche di ingoiare delle robe strane che i musicisti si scambiavano tra loro per reggere il ritmo di quella vita impossibile. Sempre in giro di città in città, a volte senza tirar su neanche uno spicciolo, altre i soldi per un piatto caldo e soprattutto qualche drink. Ma era felice così. Anche se un paio di volte era finito anche in carcere. E storie di sesso consumato in fretta, alla brutta eva, scappando magari dalla finestra quando sentiva che il marito stava tornando a casa. E poi anche altri tipi di sesso. Ma la strada, una strada di mattoni gialli d’oro, sembrava infinita.
Alla fine, ormai anziano, aveva trovato un localino dove tutte le sere gli davano la possibilità di suonare. Non ballava più. Ma cantava, Dio se cantava. Si era sparsa la voce che lui tutte le sere era lì, Mr. Bojangles, e la gente, anziani come lui ma anche ragazzini che avevano sentito parlare di lui, faceva la fila per andarlo a sentire.
Ma quella sera non si sentiva bene. Nel pomeriggio aveva vomitato, tossito tutto il giorno, non si reggeva in piedi. Ma alla sera era sceso lo stesso e si era seduto al pianoforte, e cantava. Ma faceva fatica, una fatica da bestia. Ogni canzone che finiva pensava sarebbe morto. Ma la gente applaudiva, urlava il suo nome. Gli tornò in mente quando cantava e ballava agli incroci e sentiva che doveva dar loro ancora quello che gli dava una volta, un secolo fa.
Auckland, Nuova Zelanda. Elton John è sul palco per l’ennesimo concerto del suo tour di addio. Ha detto che vuole ritirarsi per stare più tempo con i figli, vederli crescere. Ma la lista dei concerti si allunga sempre di più, ormai è quasi due anni che ha detto addio, ma questo addio non arriva mai. Non sta bene. Negli ultimi anni è stato ricoverato spesso per problemi vari. D’altro canto una vita passata quasi tutta tra alcol e droga anche se è dal 1990 che non ne tocca più si paga. Il dottore gli ha detto che ha una polmonite che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Già negli ultimi tempi ha dovuto cancellare concerti perché stava male. Ma stasera no, non vuol mandare la gente a casa delusa. E’ arrivato fin qui, dall’altra parte del mondo, per loro, che lo aspettavano. E canta. Fa una fatica da bestia ma ha già fatto sedici dei venticinque brani in scaletta. Sta per attaccare forse quello che è il suo pezzo più amato e la maledetta voce se ne va. La tosse. La vista che si annebbia. Si alza barcollando, qualcuno arriva a sostenerlo. E piange. Mr. Bojangles piange perché ha capito che non può finire il concerto. Per un musicista, la delusione più feroce. Hanno pagato, sono qui per me, e io devo andarmene. Si appoggia al pianoforte e con una mano sul volto piange calde amare lacrime. E’ finita. Chissà se canterà ancora, pensa.
Elton John non ha nessun bisogno di soldi, ne ha già tantissimi, da una carriera cominciata 50 anni prima, da milioni di dischi venduti, da stadi strapieni di gente. Perché allora salire ancora su quel maledetto palco?
Una volta, a un giornalista, Bob Dylan disse: “Se mi verrai a cercare quando avrò novant’anni, mi troverai da qualche parte su un palcoscenico”. Ormai manca poco a quella data, quest’anno il cantautore americano di anni ne compie 79. E ogni anno di concerti ne fa 60, 80, anche cento. Anche lui non ha bisogno di soldi. E i Rolling Stones, Paul McCartney, gli Who, Bruce Springsteen. Chiunque è sopravvissuto agli anni 60, quando di anni ne aveva venti, non ha mai pensato un secondo di smettere. Perché? C’è una sorta di dipendenza che si viene a creare, la vita per la strada, stare lontani dalla realtà. Un mondo parallelo. E c’è anche una etica, un’etica del lavoro, perché fare musica è un lavoro, uno stramaledetto lavoro che spesso costa anche la vita. E sono gente seria, a cui la vita ha dato un grande dono e loro sentono il dovere di ripagarla, questa vita.
Sono tutti dei Mr. Bojangles. Hanno tutto, mogli, mariti, compagne, figlie, ville gigantesche, conti in banca pazzeschi (una volta quello di McCartney aveva superato anche quello della compagnia area British Airways) ma senza la musica no, non potrebbero starci. E senza quelle persone che sono venute fino a lì per te. Lo scambio è una comunione di cuori e di spiriti che cerca per una sera soltanto la bellezza. E tu, l’artista, quella bellezza desideri che riaccada ogni santa sera. Non li tradirai mai. “Se a un concerto dove ci sono migliaia di persone arriva la bellezza di quello che sto facendo sul palco anche soltanto a un ragazzino in ultima fila, ne è valsa la pena” ha detto una volta Springsteen.
E adesso Mr. Bojangles è lì appoggiato al pianoforte e le lacrime gli coprono il viso. Non pensava sarebbe mai successo davvero, ma la vita è questa: ti spinge verso l’assoluto, ma tu sei troppo piccolo e vecchio per tenerlo tra i tasti del tuo pianoforte, ti sfugge via, ti devi fermare.
Quell’immagine rimarrà per sempre. Abbiamo anche visto musicisti morire sul palco. Adesso ne abbiamo visto uno piangere e abbiamo tutti il cuore spezzato. Noi abbiamo bisogno di lui e lui di noi. Quella strada dai mattoni d’oro si è interrotta, ma quanta bellezza in tutti questi anni. C’è qualcuno là fuori che ha saputo raccoglierne i pezzi e rimetterli insieme? Purtroppo no. Questi anni di rock’n’roll sono stati il momento in cui Dio ha deciso di mandare i suoi angeli sulla terra. Per un po’, siamo stati in paradiso in anticipo. Li ringraziamo, quegli angeli che adesso uno a uno stanno tornando a casa: David Bowie, Prince, Tom Petty, Glenn Frey. Li ameremo per sempre. E un giorno asciugheremo le loro lacrime. Loro, le nostre, le hanno già asciugate ogni volta che hanno cantato una canzone.