Nell’immaginario collettivo la parola «scoperta» richiama una serie di eventi eccezionali, verificatisi in particolari momenti storici a opera di personalità di genio e riportati nelle tavole cronologiche delle enciclopedie (più o meno multimediali).
Se si vuole restare all’attualità, la palma della scoperta può essere attribuita solo a fatti che riescono a raggiungere la prima pagina dei quotidiani o i titoli di testa dei telegiornali, qualificandosi come scoop e costringendo il povero cronista a improvvisarsi esperto di DNA, radiazioni cosmiche, particelle elementari e superconduttori.
Così, nella visione del pubblico, l’attività scientifica è come un noioso film nel quale non accade nulla per quasi tutto il tempo finché un colpo di scena giunge a ravvivare l’attenzione. Certo, i grandi risultati non sono sempre a portata di mano ed è pur vero che una delle prerogative dell’uomo è la sua capacità di avanzare nella conoscenza grazie a intuizioni geniali, a rivelazioni inattese, a volte anche a fortunate coincidenze.
Non è solo questa l’immagine di scienza che deve essere comunicata ai giovani. Bisogna evitare di far coincidere «scoperta con scoop», «conoscenza con notizia».
La scoperta è una dimensione costante del ricercatore perché è frutto dell’incontro di un soggetto con una realtà che non è mai definita una volta per tutte, che evolve continuamente e rivela senza sosta aspetti nuovi e sorprendenti. È una dimensione che deve crescere con la persona e va alimentata da parte dell’educatore che, per primo, ha la tentazione della scontatezza e della meccanicità: va sostenuta cogliendo ogni spunto per far risaltare la novità di ciò che un bambino incontra per la prima volta, un adolescente avverte con piena consapevolezza, un giovane riesce a inquadrare in un orizzonte più ampio. Quante «scoperte» si possono fare anche mentre si risolve una semplice equazione di secondo grado o quando si ripete la misura dell’allungamento di una molla!
Per scoprire non basta l’attenzione o una generica curiosità. Bisogna affrontare la realtà, o meglio, quel particolare oggetto di indagine del quale ci si sta occupando, seguendo una pista; rischiando un’ipotesi, incamminandosi su una strada ben precisa pronti a invertire la rotta non appena giungano evidenti controindicazioni.
La scelta di una strada non deve far dimenticare che le strade della natura sono più numerose di quelle previste dalla «filosofia» dell’Orazio shakespeariano. Non porre limiti alle possibilità è quindi un altro dei criteri fondamentali da consolidare in un percorso di educazione alla scoperta.
Rintracciare questi criteri all’opera nell’esperienza degli scienziati sarà allora uno dei modi più efficaci per accostare la storia delle scienze: è così che si potranno leggere le avventure dei fisici nei laboratori sotterranei della big science, o quelle dei gruppi di biologi e informatici che hanno tagliato il primo traguardo del Progetto Genoma, come pure il resoconto di un giovane fisico di nome Albert, impiegato in un modesto ufficio brevetti svizzero, che desiderava scoprire «come Dio ha disegnato il mondo».
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 09 di Emmeciquadro