Pavel A. Florenskij
Non Dimenticatemi
Oscar Mondatori – Milano 2010
Pagine 419 – € 10,00
La figura del grande matematico russo Pavel Florenskij mi ha affascinato sin dalla prima volta in cui ne ho sentito parlare. Quest’anno, ho avuto la fortuna di ascoltare una conferenza sulla sua persona, tenuta in ottobre da Lubomír Žác presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in occasione della presentazione di una mostra dedicata alla sua vita. Ho deciso così di approfondirne la conoscenza cominciando a leggere questo libro.
Si tratta di una raccolta di lettere che Florenskij scrisse ai suoi familiari durante gli ultimi anni della sua vita passati in diversi campi di prigionia. Queste lettere, che rappresentano l’unico strumento a disposizione di Florenskij per mantenere un contatto coi suoi cari e per seguire l’educazione dei suoi figli, sono estremamente dense e ricche di umanità. Non è facile parlare di una personalità così intensa e profonda senza rischiare di cadere in riduzioni; sottolineerò quindi solo alcuni aspetti che ho trovato significativi a riguardo della descrizione della dinamica della conoscenza.
La lettera n. 16 indirizzata a suo figlio Mik mi ha colpito in modo particolare, perché testimonia come per Florenskij la conoscenza nasca da una attenta osservazione in cui il legame, che si instaura tra il dato incontrato e il soggetto, è fondamentale per lo sviluppo della persona prima ancora di qualsiasi intenzione o progetto. Infatti scrive: «Sarebbe bene che tu, mentre passeggi o corri, facessi qualche appunto su ciò che trovi d’interessante: qualche nido d’uccello, funghi, piante, cavi, tronchi ritorti, forse riuscirai a disegnare anche qualche uccello. Inoltre, segnati immancabilmente, ogni giorno, tutto ciò che osservi nella natura. Ciò è molto importante: in questo modo si crea la capacità di formulare il proprio pensiero, e si accumula il materiale che in seguito ti sarà sia utile che interessante.»
La stessa lettera prosegue con una descrizione interessante di cosa significhi osservare. «Cerca di osservare com’è fatta una foglia, un fiore, i tessuti, e disegnali, ma non facendone meccanicamente una copia, ma formandone uno schema, cioè cercando di capire, qual è il rapporto delle varie parti. […] Prima, osserva ben bene, imposta tutto, e solo dopo disegna senza esitare, senza inseguire dettagli casuali. Allora il disegno sarà espressivo e stilisticamente caratterizzato.». Questa indicazione mostra un tema ricorrente nel libro, legato alla convinzione dell’autore che la natura – la realtà e tutto ciò che nasce dall’uomo – ha una struttura organica e quindi esige come metodo adeguato per conoscerla e comprenderla, uno sguardo sintetico.
Come infatti spiega esplicitamente a sua figlia Olja nella lettera n. 35. «Che cosa distingue ciò che è organico – vivo – creativo da ciò che è meccanico, materiale, privo di vita? Ovvero cosa distingue ciò che è generato da ciò che è costruito? Il fatto è che ciò che è costruito è privo di una vera unità, non è “un tutto” mentre ciò che è generato lo è. “Il tutto è prima delle sue parti”(Aristotele), cioè: il tutto produce, deduce, pone le parti da se stesso, mentre ciò che è costruito è composto dalle sue parti ed è posto da esse; ciò che è costruito non è che un’idea astratta, relativa all’interazione fra queste parti. Il tutto qui non c’è. […] L’obiettivo dello studio della poesia, della musica, della pittura, del sapere scientifico, eccetera, è quello di comprendere ciò che si studia come un tutto, cioè di vedere come questo tutto pone, produce le sue parti, gli organi eccetera».
Non posso infine concludere senza ricordare le bellissime e poetiche descrizioni della natura delle piante e degli animali, che ha occasione di osservare nelle regioni in cui viene mandato. In esse il linguaggio piano e pacato tradisce uno sguardo acuto e appassionato e mostra come la conoscenza di ciò che ci circonda viene esaltata quando abbiamo qualcuno che amiamo a cui vogliamo comunicarlo.
Recensione di Barbara Chierichetti
(Docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Classico “G. Berchet” di Milano)
© Pubblicato sul n° 41 di Emmeciquadro